Trapattoni e gli allenatori dei giornalisti

17 Marzo 2019 di Stefano Olivari

Giovanni Trapattoni compie 80 anni e non c’è bisogno di spiegare cosa abbia fatto da giocatore e da allenatore ai massimi livelli. Una carriera fortemente voluta, quella da calciatore del Milan, con le speranze nel settore giovanile rossonero che andavano di pari passo con un lavoro (vero) fin dall’età di 14 anni in un tipografia, come compositore. Una carriera esplosa quasi per caso quella da allenatore, visto che fra i suoi discepoli il Rocco direttore tecnico preferiva nettamente Cesare Maldini, ma nell’incredibile estate del 1975 (quella che avrebbe portato all’esonero di Giagnoni, inviso a Rivera) Trapattoni era di fatto l’unico disponibile visto che Maldini era impegnato con il Foggia e nessun allenatore in carriera voleva venire in un Milan dove comandavano un po’ tutti (ma soprattutto Rivera).

E molto casuale fu nel 1976 il passaggio alla Juventus in sostituzione di Carlo Parola. Agnelli non aveva le idee chiarissime e non le aveva nemmeno Boniperti, che per settimane portò avanti quello che oggi tristemente si definirebbe ‘casting’. Dopo i primi colloqui strafavorito era Bersellini, all’epoca alla Sampdoria, ma all’Avvocato non dispiaceva l’emergente Castagner. Poco sopra le boutade giornalistiche parevano Liedholm, Pesaola, Angelillo e Trapattoni, mentre Boniperti a un certo punto fece trapelare l’idea della soluzione interna, cioè Bizzotto, ex vice di Parola, secondo l’idea che quella Juventus per perdere lo scudetto (che peraltro aveva appena perso contro il Torino di Radice) avrebbe dovuto impegnarsi. Trapattoni non aveva alcun potere contrattuale ed era seriamente preoccupato per il suo futuro, visto che nonostante una buona stagione chiusa al terzo posto il Milan lo aveva salutato (già fatta la scelta di Marchioro) e offerte non ce n’erano, per un uomo che fino a quel momento era stato di fatto un allenatore in seconda. Boniperti vide giusto, convincendo anche l’Avvocato, e lì nacque il Trapattoni allenatore.

Che come i profeti di altre scuole ideologiche aveva un ottimo rapporto con i giornalisti, utili nel sottolineare i meriti della squadra nelle vittorie e i demeriti dei singoli giocatori nelle sconfitte, visto che nel calcio si può sostenere qualsiasi tesi. Ha quasi sempre allenato squadre forti, vincendo quello che si poteva vincere e in molti casi un po’ di meno, fallendo con una Nazionale che aveva nel fiore degli anni Buffon, Cannavaro, Nesta, Totti, Del Piero e Vieri. Il dualismo con Sacchi nasceva anche dai punti di contatto: abbiamo vinto noi (a volte io), hanno perso loro. Nemmeno lo dicevano in prima persona, bastavano le grandi e meno grandi firme a randellare i giocatori che non capivano. Insomma, un allenatore come tanti ma fortunato nel salire sui treni giusti. Dalla sua ha però sempre avuto il fatto di essere una persona a posto, solo sfiorata dall’ordinaria sporcizia del calcio.

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