Tozzi, Raf e il pop che non esiste più

14 Febbraio 2019 di Paolo Morati

Toh, che strano. A Sanremo sono arrivati Umberto Tozzi e Raf e d’improvviso la sala dell’Ariston si è messa a ballare, risvegliata certo dai ricordi ma anche da canzoni come oggi non si usa più scrivere. Ti pretendo, Il battito animale, Tu, Gloria… Chi potrebbe mai pensarle nell’epoca in cui i cantanti vanno a caccia di effimere page views e streaming economicamente striminziti, calandosi dritti nella trap(pola) contemporanea? Ma non è solo questo.

Oggi la pop music, termine con il quale, al di là delle sue radici che arrivano agli anni Trenta del secolo scorso, intendiamo qui quella che gli snob usavano (appunto) snobbare in quanto di facile ascolto contrapposta al rock duro e puro, sembra di fatto qualitativamente scomparsa. In Italia poi, terra di cantautori depositari del verbo, non ha avuto inizialmente nemmeno vita facile fintanto che non sono emersi personaggi come appunto Umberto Tozzi che sul finire degli anni Settanta ha rimescolato le carte imponendosi anche all’estero, proprio mentre un’icona come Lucio Battisti stava per intraprendere la sua nuova strada ermetica.

Tozzi, lo sappiamo, non ha avuto mai un rapporto idilliaco con quella critica che odia tutto quanto piace, complice anche lo zampino di Giancarlo Bigazzi e dei suoi testi che puntavano al suono efficace più che al senso compiuto. Questo perlomeno nelle apparenze, e per pregiudizi che impedivano di approfondirne il repertorio che nella realtà non sempre era puramente pop, come se tutto ruotasse sempre attorno al famigerato guerriero di carta igienica. Lo stesso dicasi per Raf, che da giovanissimo aveva respirato musica a Londra e faceva parte anche lui del giro Bigazzi, arrivando sulle scene più tardi dapprima cantando in inglese e poi lavorando bene su uno stile che via via nel tempo si è fatto sempre più intimo.

Di recente i due hanno anche pubblicato un nuovo singolo insieme, a 31 anni di distanza dalla eurohit Gente di mare (terza all’Eurovision Song Contest del 1987, e anch’essa intonata a Sanremo nel tripudio del pubblico). Intitolata Come una danza, la canzone ha fatto da preludio a un doppio album raccolta e a un tour comune che sta per partire. Un brano che strizza più di un occhio alle nuove generazioni, dalle citazioni nel testo di termini come ‘app’ e ‘password’, al breve inserto rap a cui Riefoli in realtà ci aveva già abituati in passato, mantenendo tuttavia un legame sonoro con il passato.

Passato che, quando regnava la vera pop music, vedeva la scena italiana arricchita sì dai vari Tozzi, Raf, ma anche da (solo per fare alcuni nomi) Matia Bazar, Alberto Camerini, Rettore… Di tutto questo, di quelle ritmiche e suoni che perfino Franco Battiato aveva per un periodo adottato, oggi cosa resta? E soprattutto, è ancora quella la formula sulla quale si sta puntando? Ce lo chiediamo proprio mentre uno dei nomi top della pop music, Trevor Horn, ha pubblicato l’album Reimagines – The Eighties dove rilegge 12 successi degli anni Ottanta. Dichiarando che: “Il pop negli anni 80 è stato molto più eccitante, ricco di potenzialità rispetto a quello di altri periodi”. Cosa ne pensate? Solo nostalgia?

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