Tozzi, non solo Stella stai

29 Agosto 2020 di Paolo Morati

Scivola scivola scivola…” Nel 1980 Umberto Tozzi centra l’ennesimo singolo di successo con Stella Stai, brano ripreso ultimamente anche da Mina per la campagna di un operatore telefonico. Sono passati 40 anni da questa canzone e dall’album che la conteneva, intitolato semplicemente come il cognome del musicista torinese, e riascoltato in questi giorni per la nostra rassegna sui dischi che compiono gli ‘anni zero’.

Un’opera successiva al best seller Gloria, con una copertina in stile francobollo, con tanto di timbro postale (Poste 80), per una scaletta di 8 brani aperta proprio da Stella stai, un azzardo moderno appoggiato sui giochi di parole frutto dell’ormai consolidata e affermata collaborazione con Giancarlo Bigazzi: “Colorando il cielo del sud chi viene fuori sei tu, sei tu, colorando un figlio si può dargli i tuoi occhi se no, se no”, tra le frasi da scolpire nella pietra della memoria.

Ancora una volta capace di stregare il pubblico italiano e non solo (ne uscirà anche la versione in spagnolo intitolata Claridad, ripresa poi da alcuni artisti latini), con Stella stai Tozzi propone una cavalcata che riesce (nuovamente) a colpire il bersaglio del successo, lasciando senza fiato chi si trova a ballarla sulle piste, isole comprese. E confermandolo come un innovatore del pop italiano, quello che la critica abituata a incensare i cosiddetti cantautori non riesce a proprio a digerire, salvo poi sciogliersi di fronte a chi arriva dall’estero.

Il problema è che per digerire qualcosa devi anche provare ad assaggiarlo. Ecco che questo album, degno capitolo di apertura di un decennio clamoroso dal punto di vista musicale, non è solo pop, ma un mix di generi che dopo l’avvio clamoroso, risponde per le rime ai cosiddetti buongustai: stiamo parlano di A cosa servono le mani, per noi una delle più belle composizioni di Tozzi, che parte piano al piano per poi via via arricchirsi: “Suonavo il pianoforte su di lei credevo fosse un’arte e adesso che ne faccio delle mani se lei non c’è”.

E ancora, c’è il Tozzi poliedrico in Calma, tra chitarre rock, falsetti al culmine, e tappeti di synth, mentre Fermati allo stop ci riporta alla formula più classica, degna frenata per introdurre Dimmi di no dove riesplode il viaggio più internazionale del rosso chitarrista, quello già affrontato con il precedente album – dopo l’arrivo nel team di Greg Mathieson, per intenderci – per oltre 5 minuti di puro divertimento, trascinante nella versione in studio così come in quella live: “Sparirò quando ci sei tu, starò attento a non incontrarti, ad odiarti ci proverò ma non credo ci riuscirò”, canta Tozzi appoggiato al sottofondo di un basso che picchia.

Troppe luci e tappeti di tastiere, almeno per alcuni? Costoro forse gradiranno allora i sei minuti di Gabbie dove si raccontano storie di piccolo crimine e di una richiesta finale drammatica: “Fammi un favore Gesù fa questo gancio che regga non mi lasciare quaggiù non come un’aquila in gabbia”, seguita da una prolungata chiusura strumentale, mentre in Nemico alcool viene affrontato il tema della dipendenza da un finto conforto. Per infine arrivare all’ultima traccia: Luci ed ombre, tra accelerazioni e frenate, in strada e non solo. Un album, quello che abbiamo raccontato, tra i più venduti del 1980 e suggerito a chi abbia voglia di approfondire una discografia senza fermarsi al brano più noto.

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