L’apparizione di Tom Heinsohn

11 Novembre 2020 di Stefano Olivari

Tom Heinsohn è morto a 86 anni e non lo piangono soltanto i Boston Celtics ma tutta la pallacanestro mondiale. Heinsohn è stato protagonista in tutti e 17 i titoli NBA vinti dai Celtics: prima come giocatore, poi come allenatore ed infine come seconda voce nelle telecronache. Impossibile pensare ad Heinsohn senza pensare a Bill Russell, entrato insieme a lui nella NBA e nei Celtics: una vita insieme, in una lega meno ricca e meno tutto rispetto a quella di oggi.

Cosa non troverete su Wikipedia ed in generale sul web su questo straordinario personaggio? Non troverete il racconto della sua parentesi italiana, nel 1979, in cui per poco lo vedemmo allenare la Pallacanestro Milano, allora targata Amaro 18 Isolabella. Una parentesi marginale nella sua vita, ma non nella nostra. Proponiamo quindi un capitolo del libro scritto nel 2009 insieme a Giorgio Specchia, L’Altra Milano – Dall’oratorio a Jura, la generazione della pallacanestro, per ricordare ancora una volta cosa ci piaceva e cosa ci piace.

Nella sua vita ad alto livello l’Altra Milano ha incrociato tanti fenomeni della storia del basket, ma fra quelli messi sotto contratto il colpo più impressionante è senza alcun dubbio Tom Heinsohn. Per l’importanza del personaggio, più che per quello che farà dopo la firma. Ma come nasce l’operazione più incredibile nella storia della società? Nasce nel 1974, durante quei tornei estivi che portavano in Italia grandi nomi e spettacolo assicurato. Heinsohn allena una di questa squadre, vincendo due trofei (a Chieti e Rapallo), divertendosi e divertendo moltissimo con un gioco ad alta velocità. E fra le persone con cui rimane in contatto c’è l’onnipresente Toth. Al quale nel 1979 viene la pazza idea di ingaggiare l’ex allenatore dei Celtics, che da un anno si è autopensionato e fa l’opinionista per un magazine sportivo di Boston, il ‘Vision Sport’. Heinsohn non ha molta voglia di un incarico fisso, ma accetta quello di direttore tecnico: per un campionato che di fatto dura cinque mesi (causa preparazione olimpica degli azzurri) il sacrificio si può anche fare, e poi secondo il progetto iniziale per il lavoro quotidiano in panchina rimarrebbe Gurioli. Il colpo fa scalpore in Italia e negli Stati Uniti, in termini di marketing Toth ha fatto centro. 

Il modo in cui Heinsohn arriva merita però di essere raccontato. Ad inizio agosto Toth dice a Gurioli che la squadra dovrà rilanciarsi puntando sui giovani e sul vivaio, anche se di giovani in squadra ce ne sono ben pochi. Gurioli accetta il programma, almeno come idea, e da metà agosto comincia a lavorare con il gruppo. Una giornata di fine agosto Toth arriva ad un allenamento e prende da parte il coach: “Sai Dante, domani arriva qui da noi il grande Tom Heinsohn che è anche un mio caro amico. Lo conosci, vero? Viene qui per dare un’occhiata alla squadra, ma soprattutto per darci suggerimenti sul secondo americano da prendere”. Gurioli si dice disposto a dimettersi, ma Toth lo tranquillizza e ribadisce che l’allenatore americano verrà solo per dare qualche consiglio.

L’incredibile avviene davvero: il giorno dopo Tom Heinsohn si materializza al Palalido lasciando giocatori ed osservatori a bocca aperta. Un po’ appesantito rispetto alle foto d’epoca circolanti da noi, faccia rossa già al mattino, indossa la tuta dei Celtics: nell’Italia di fine anni Settanta, che le partite NBA le sognava e basta, un’apparizione quasi mistica. In concreto Heinsohn si mette a guidare l’allenamento, usando Gurioli come interprete, e l’equivoco va avanti per qualche giorno. Secondo le testimonianze dei giocatori, Heinsohn è molto bravo nello spiegare i fondamentali (peraltro ad una squadra di trentenni) ma non ha la minima idea di dove sia capitato se è vero che dice “Dobbiamo pensare a segnare almeno un punto più degli avversari, il nostro obbiettivo saranno 35 punti per quarto”. Ma all’epoca nel basket FIBA i tempi sono solo due…Il primo ciclo di ‘lezioni’ finisce con con qualche raccomandazione ed alcuni slogan del tipo “Lucarelli deve essere il nostro Cowens“, poi il ‘consigliere’ di Toth riparte per gli Stati Uniti alla ricerca del secondo americano.

La situazione è più confusa che mai ed è aggravata dal fatto che quasi nessun giocatore ha ancora visto una lira. Intanto gli allenamenti proseguono agli ordini di Gurioli, ma Toth pretende che vengano rispettate le tabelle di lavoro di Heinsohn. Così non avviene e qualcuno lo va a riferire al proprietario. Che in quel momento ha ben altri problemi per la testa: i misteriosi soci non esistono, Toth è da solo ed ha l’assoluta necessità di coinvolgere qualcuno più ricco di Maisetti. Insomma, qualche mese prima ha bluffato: ha avuto coraggio nel rilevare la società a suon di cambiali, ma adesso deve rientrare. In mezzo al caos assoluto Heinsohn torna a Milano e presenta a tutti l’americano che fa per lui: si chiama Steve Castellan e l’ha trovato al camp dei Boston Celtics, che non lo hanno ancora tagliato dopo averlo scelto al numero 130 nel draft. Allenato da Terry Holland alla Virginia University, è stato compagno di Marc Iavaroni (all’epoca americano di Brescia insieme a Bill Laimbeer, la gloria NBA rispettivamente nei Sixers e nei Pistons arriverà qualche anno più tardi) fino alla stagione prima e nel 1978 si è anche messo in mostra da noi nelle leghe estive, in particolare a Sanremo. Va detto che Castellan non sarebbe la prima scelta, ma Toth ha consigliato ad Heinsohn di prendere un oriundo in previsione di decisioni federali: si parla infatti di una chiusura al secondo straniero, che poi non ci sarà. 

Castellan lavora agli ordini della coppia Heinsohn-Gurioli per qualche giorno, poi accade l’inevitabile. È evidente che Heinsohn è venuto in Italia per allenare e che chi siede in panchina sarà solo un prestanome: Gurioli litiga in modo durissimo con Toth, volano parole grosse ed un tavolo viene rovesciato addosso al dirigente. Toth vorrebbe le dimissioni, giusto per risparmiare uno stipendio, mentre l’allenatore pretende un indennizzo. Assistito dall’avvocato Verdesca (uno degli inventori delle statistiche del basket in Italia, lo ritroveremo in una parte ancora più triste del racconto), Gurioli si rende conto che non gli verrà mai corrisposta una sola lira del contratto ed accetta di essere pagato in giocatori. Oltre a Caimi e Pampana, si porta quindi nella sua Rho anche Bonomi e Guolo. Ma a questo punto il valore di mercato dei ragazzi è superiore al contratto rescisso, quindi per chiudere ogni discorso il coach firma un assegno da 5 milioni di lire e lo mette in mano a Maisetti. Si chiude così la storia di Gurioli con la serie A1, a soli trenta anni e per scelta: dirà di no ad altre offerte preferendo le attività imprenditoriali ed il basket delle ‘minors’ alla precarietà dell’allenatore professionista.  Al suo posto Toth trova un’altra soluzione a basso costo: il torinese Bruno Boero, reduce da un’ottima stagione a Roseto.

Adesso Tom Heinsohn è direttore tecnico ed allenatore di fatto dell’Amaro 18 Isolabella: oggi fa impressione dirlo, ma l’effetto che fa nel 1979 è anche maggiore. Nato nel 1934 in New Jersey, dopo una grande carriera universitaria a Holy Cross viene scelto dai Boston Celtics al territorial draft (Holy Cross è a Worcester, nel Massachusetts: da lì viene anche Bob Cousy) e gioca da protagonista nella più forte squadra di tutti i tempi: guidati da Red Auerbach, i verdi vincono otto tititoli NBA nelle nove stagioni (dal 1956 al 1965) in cui Tom ci gioca come ottima ala grande. Nella storia dei Celtics ed in quella della NBA solo due giocatori hanno vinto più campionati di lui: Sam Jones ed ovviamente Bill Russell. Dopo il ritiro diventa presidente dell’Associazione Giocatori, ma nel 1969 gli offrono la panchina proprio dei suoi Celtics: li allenerà con successo per nove anni, come nove anni ci è stato come giocatore. Dalla panchina aggiunge ai suoi trofei altre due vittorie assolute, nel 1974 e nel 1976: sono le squadre di Jo Jo White, John Havlicek, Dave Cowens (il modello a cui Lucarelli si dovrebbe ispirare), Don Nelson e Paul Silas. Nel 1978 decide di dedicarsi alla televisione ed alle sue grandi passioni, il golf e la pittura, ma dopo un anno risponde alla chiamata di Toth. Si presenta a Milano insieme alla sua Helen, carico di di idee cestistiche ma anche di guide turistiche sulle principali città d’arte. 

L’ironia a distanza di decenni è facile, in realtà l’unico problema è che un grande della NBA come Heinsohn c’entra pochissimo con la realtà della pallacanestro italiana di quegli anni. Vive al Palace Hotel di Varese, Milano gli piace, conquista la stima di Aldo Giordani (che avrebbe voluto convincere Gurioli ad accettare il ruolo di vice Heinsohn) ed in palestra è comunque all’altezza della fama. In ogni allenamento con l’Isolabella Heinsohn spiega quale sia il basket in cui crede: mentalità professionistica, difesa a uomo, pressing alla morte, attenzione ai fondamentali (che mostra personalmente anche ai ‘vecchi’ della squadra, senza delegare a Boero), aggressività a rimbalzo, molti possessi, schemi poco complicati in attacco ma soprattutto ricerca sempre e comunque della velocità e del contropiede secondario. Bellissime idee con i grandi Celtics, un po’ meno con una squadra di gente avanti con gli anni che deve dosare le forze per vincere quelle partite che le serviranno in ottica salvezza. Nei ricordi di Zanatta, De Rossi e Lucarelli risuonano ancora discorsi sull’importanza dell’andare tutti a rimbalzo, senza guardare alla statura: “I miei Celtics prendevano più rimbalzi di tutti, pur essendo i più piccoli. Se faremo così anche noi andremo lontano”. Un grande uomo di basket ma non un grande profeta, capitato nella squadra sbagliata. 

L’esordio in campionato è sfortunato, con sconfitta a Torino nel supplementare, poi l’Isolabella si scioglie contro le grandi e perde le partite punto a punto contro le piccole. I giochi d’attacco non sono male, ma in difesa la squadra è pessima: Heinsohn predica la uomo, ma lo spogliatoio e parte della stampa chiedono qualche aggiustamento. Insomma, si inizia con sei sconfitte su sei partite, poi arrivano le due vittorie del Palalido contro le romane ed un filotto di cinque sconfitte che fa chiudere il girone d’andata già praticamente retrocessi. A quel punto l’era Heinsohn è di fatto finita: i periodi di assenza del mito dei Celtics sono sempre più lunghi ed a questo si somma il fatto che Toth prima di Natale sparisce dalla scena societaria. Nessun imprenditore gli ha dato una mano e lui ha esaurito ogni risorsa, peraltro pagando pochissimo (Heinsohn niente, pare) quasi tutti. Il sogno dell’allenatore dei Celtics sulla panchina dell’Altra Milano è durato poco, quello di Toth di rimanere in serie A1 senza capitali propri avrà invece un seguito con la magistratura ordinaria e sportiva. In sostanza Toth sostiene che Caspani gli abbia venduto una società ad un prezzo troppo superiore al suo valore reale. 

Adesso il cerino acceso è nelle mani del povero Maisetti e la squadra di fatto si autogestisce, con Boero che ci mette la faccia e apporta qualche modifica. Va detto che l’Isolabella non è da vertice ma nemmeno da buttare: Riva non è solo il cognato di Toth ma anche un ottimo attaccante, l’ex dei Knicks Mel Davis un duro vero che porta punti e rimbalzi, Castellan un prospetto su cui si può lavorare, De Rossi ha ancora qualcosa da dare, Arrigoni ogni partita che passa migliora, Zanatta è quasi al capolinea ma è sempre Zanatta, Lucarelli vicino a canestro rimane un giocatore di grande sostanza.

Contro le grandi si continua a perdere di brutto, ma adesso contro le altre c’è partita ed arrivano vittorie importanti a partire da quella in casa con Torino con una grande prova di Brambilla. Si comincia ad applicare massicciamente la zona: una 2-3 che permette di stare in partita anche contro chi sembra più forte, sperando poi che Davis, Riva o Zanatta mettano i punti decisivi. L’ambiente comincia a crederci ed alla penultima giornata è decisiva la partita al Palalido contro l’Arrigoni Rieti di Brunamonti e Sojourner. Quasi tutti danno tutto, in 40 minuti pieni di momenti drammatici: da Davis a Castellan, da Zanatta a De Rossi, da Riva ad Arrigoni, senza risparmiarsi. Un misterioso, inspiegabile, bellissimo fuoco sembra ardere dentro quella squadra abbandonata da tutti tranne che dalla parte più romantica del suo pubblico. Nel finale Castellan sbaglia un tagliafuori: rimbalzo e canestro dei reatini, sconfitta di un punto che significa A2.

L’ultima partita nella massima serie si gioca il 24 febbraio 1980, al Palazzone di San Siro: il Billy vince un derby molto tirato, con grandi prestazioni di Bonamico, Kupec e Silvester, mentre l’Isolabella oppone un grande Zanatta, un Riva ispirato ed il solito trascinante Davis. Sarà l’ultima partita dell’Altra Milano nel grande basket, ma ancora nessuno lo sa. 

(Estratto del libro L’Altra Milano – Dall’oratorio a Jura, la generazione della pallacanestro, di Stefano Olivari e Giorgio Specchia. In vendita presso la Libreria Hoepli).

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