Tokyo 2020, Warholm come Beamon

3 Agosto 2021 di Stefano Olivari

Oggi l’atletica e lo sport sono Karsten Warholm, per la meravigliosa lotta con Benjamin che gli ha dato l’oro olimpico nei 400 ostacoli ma anche per un record davvero disumano: 45″94 è qualcosa di paragonabile all’8,90 di Beamon, un primato che è la cosa più impressionante vista su una pista d’atletica dai tempi del miglior Bolt e che segna l’inizio di una nuova era. Non vogliamo dire che sia imbattibile, perché il 46″17 di Benjamin e il 46″72 di Dos Santos sono entrambi sotto il tempo di Kevin Young fatto a Barcellona ’92 e durato quindi 29 anni, prima che Warholm lo battesse lo scorso primo luglio a Oslo e poi a Tokyo. Comunque pazzesco, anche al netto di tutti i discorsi sulla superpista e sulle nuove scarpe. Oltre che, va da sé, sui sospetti standard tipici degli sport di prestazione e che non risparmiano alcun vincente. Anche se Warholm non viene dal nulla ma da due ori ai Mondiali e tanto altro, con standard cronometrici sempre di altissimo livello. Alla fine dei Giochi la copertina dell’atletica sarà giustamente di Jacobs, perché i 100 metri significano questo, ma nella storia sportiva rimarrà di più questo 400 ostacoli di Warholm.

La favola dell’Italia di Sacchetti è purtroppo finita, con un quarto di finale contro la Francia in cui sono stati mostrati tutti valori caratteriali e sportivi, in senso etico, di questo gruppo di giocatori. Una partita che incredibilmente a due minuti e mezzo dalla fine era in parità, grazie al solito Fontecchio totale, a Polonara, a un Gallinari che ha dato tutto quel poco che aveva in corpo e alle nostre guardie, che in attacco hanno pagato con percentuali scadenti la grandissima pressione messa su Fournier ed Heurtel, in qualche modo limitati, e su De Colo quasi annullato: la grande scommessa di Sacchetti è stata questa, più che la missione impossibile di limitare le ricezioni di Gobert. Una scommessa quasi vinta, e il ‘quasi’ è dipeso dalle scadenti percentuali di tiro di Mannion oltre che dai rigori sbagliati da Tonut e Pajola, con una squadra per somma dei singoli senz’altro inferiore. Non siamo tifosi dell’Italia a prescindere, ma questa squadra aveva una magia che ci ha commosso. In un mondo decente Petrucci pregherebbe Sacchetti di rimanere, invece di tenerselo quasi per forza. A meno che Sacchetti non saluti, colpo che può avere in canna. Quelli che Giampaolo Pansa chiamava ‘i soldi del vaffanculo’ lui li ha.

Questa indimenticabile giornata consacrata alla pallacanestro e all’atletica olimpiche è per noi iniziata alle 3 in punto con un’altra notevolissima prova offensiva della Slovenia, ancora una volta con Doncic entrato con molta calma nelle pieghe della partita e del tutto disinteressato a quelle statistiche che molti appassionati di basket ormai confondono con il basket: essersi autosostituito (visto il ruolo di Sekulic, a un certo punto addirittura redarguito da Doncic perché protestava troppo…) a due rimbalzi dalla tripla doppia dice molto sul carattere di un ragazzo che con la sua sola presenza permette ai compagni di giocare vicini ai propri limiti: grande prova in attacco di Zoran Dragic, sempre concreto il patriota Tobey, grande anima di Blazic pur tirando male. Insomma, un’altra esibizione di pallacanestro jugoslava d’altri tempi (diciamo quelli prima della Jugoplastika di Malijkovic, ora presidente del CONI serbo) contro una Germania che è stata in partita fino a quando il tiro da tre ha funzionato.

Le generazione d’oro spagnola ha salutato con una prima metà di partita sontuosa contro gli Stati Uniti, con un grande Ricky Rubio, a 31 anni il bambino della situazione, alla sua miglior prova di sempre in nazionale (38 punti…), e il Chacho Rodriguez ad alternarsi benissimo in regia, più una difesa eccezionale di Claver ed Hernangomez. Nell’ultima battaglia non ne avevano davvero più Rudy Fernandez e soprattutto i fratelli Gasol, inesistenti. Gli USA ‘piccoli’, quattro tiratori più Draymond Green, muovono il pallone come un videogioco e appena trovano una buona striscia allungano. Chiunque di loro ha il primo passo per battere l’avversario diretto e creare un vantaggio che dopo due passaggi diventa voragine, soprattutto se le partenze stessa mano-stesso piede vengono amnistiate da arbitri che non cercano grane.

Ci ha fatto male assistere all’imbarcata dell’Argentina, che non aveva alcuna arma per fare male all’Australia nemmeno nella versione senza Baynes. A questo livello un parziale di 25 a 0 davvero non ce lo ricordiamo. Possibilità per Patty Mills e compagni di disturbare gli USA in semifinale? Poche, perché senza Baynes è tutto un corri e tira, e in questo giochino puntiamo la casa su Durant e Lillard. Ben più interessante Francia-Slovenia. Ma il vero problema è che sta finendo tutto. Ci correggiamo, il vero problema è stato l’uscita dal campo di Luis Scola dopo 5 Olimpiadi, a 51 secondi dalla fine. Senza discorsi, senza messaggi, con lacrime ricacciate indietro. Guardatele, vi scoprirete ad applaudire da soli. Addio alla pallacanestro giocata per lui, oltre che per Pau Gasol. Certo troveremo altri eroi, ma ancora più distanti come età e quindi un po’ meno eroi.

Ci sentiamo colpevoli per non avere seguito lo spettacolo dell’inseguimento su pista e la mezza delusione della pallavolo maschile, e per aver visto senza la dovuta religiosità i 200 di Elaine Thompson d’oro (stellare 21″53, in altre condizioni Florence Griffith sarebbe stata nel mirino) e della semifinale di De Grasse, più il 6.02 di Duplantis, ma le Olimpiadi dovrebbero durare un mese e non due settimane ipercompresse. Certo già portare a termine queste sembra un’impresa, con buona pace dei profeti del chiudere tutto.

Medaglie italiane di oggi: Oro di Ruggero Tita (Fiamme Gialle) e Caterina Banti (Aniene) nella vela, Nacra 17 (qualsiasi cosa voglia dire, a noi fa venire in mente il nogra di Maurino Di Francesco).

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