Tiger Woods e il tifo dei vecchi

15 Aprile 2019 di Stefano Olivari

Tiger Woods ha vinto il Masters di Augusta a 11 anni dalla sua ultima vittoria in un major e raramente ci è capitato di sentire un tifo così trasversale per un campione di uno sport che in Italia popolare non è e non sarà mai, con buona pace dei milioni buttati via per la Ryder Cup. Valanghe di messaggi anche nella triste giornata di WhatsApp down, gufate contro gli avversari di Tiger (anche contro Molinari), alla fine gioia incontenibile e irrazionale per un golfista dato per finito più volte e con la schiena ricostruita da cinque operazioni. E stiamo parlando di generici appassionati di sport, non certo di golfisti (che di solito non guardano il golf, come è noto). Perché abbiamo tifato tutti per Tiger Woods, uomo e personaggio con il quale non abbiamo niente in comune, come l’istrione di Aznavour? E non, pur con tutta la simpatia del caso, per un grandissimo campione del presente come Francesco Molinari?

La prima spiegazione potrebbe valere per mille altri casi: il vecchio campione che ritorna alla vittoria fermando in qualche modo il tempo che noi non abbiamo fermato, oltretutto senza nemmeno essere campioni di qualcosa. Tiger Woods per essere un golfista non è stravecchio, avendo 43 anni e mezzo. Vecchio però lo è senz’altro, sia per la lunghezza della carriera sia per l’età: Nicklaus vincendo a 46 anni il Masters nel 1986, il suo ultimo major a 6 anni dal penultimo, destò una grandissima impressione. Arnold Palmer, per dire, il suo ultimo major lo aveva conquistato a 35 anni: e stiamo parlando dell’uomo più avvicinabile a Tiger per il suo impatto sul golf come industria. Proprio Nicklaus con i sui 18 major è l’obbiettivo di Tiger che è a quota 15, ma nel golf i valori sono così vicini che 3 major per Tiger sono in proporzione molto più difficili di 3 Slam per Djokovic. Non ci scommetteremmo, insomma. Ma è chiaro che il vecchio sportivo da divano, mentre suo figlio guarda Netflix o si droga, avrà sempre più simpatia per il vecchio campione che per il giovane. Come se il nostro trilocale di periferia potesse essere messo in pericolo dai 26 anni di Schauffele o dai 25 di Rahm.

La seconda spiegazione del tifo per Tiger Woods è nel suo essere un personaggio ultrapop fra ascesa e cadute, divorzi e fidanzamenti celebri, dolce vita da celebrity e ascetismo da atleta. Lo sport, nemmeno il golf, non è mai soltanto sport: se non sarebbe un giochino per borghesi annoiati, divertente magari da giocare ma certo non da guardare. La terza nostra spiegazione della Tiger-mania, probabilmente l’unico punto di contatto fra Trump e Obama, è che Tiger Woods è considerato un alieno dai suoi stessi colleghi (Molinari in testa) e questo alla gente arriva con chiarezza. Non perché sia più forte di loro, non lo è più da anni e con continuità non lo sarà nemmeno in futuro, ma perché gli riconoscono il merito di avere portato il loro sport in un’altra dimensione emotiva e finanziaria. Nè più né meno ciò che accadeva nel tennis con Borg, senza grandi frasi né una personalità memorabile (come Tiger) capace di mettere in soggezione tutti, da Connors a McEnroe, o nella Formula Uno con Senna.

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