This is not a sushi bar, influencer e conti che non tornano

14 Marzo 2019 di Stefano Olivari

Molti lettori di Indiscreto, in questo caso non stiamo scherzando, ci chiedono più recensioni di ‘Pagando il conto’, quindi usiamo questo post per una risposta cumulativa: nel 90% dei posti di Milano, o anche di altre città ma la rubrica è sui nostri ristoranti di Milano, non torneremmo una seconda volta e quindi nemmeno gli vogliamo dedicare un’ora del nostro tempo-recensione né tanto meno una spazio nella nostra personalissima guida. Questo non significa che quelli esclusi siano postacci, anzi: però sono locali che non ci hanno lasciato sensazioni forti, degni di una città dove cantori non sempre in buona fede magnificano il modello Milano a beneficio, anzi ai danni, di chi a Milano non vive. Puoi dire male di un posto dove ti hanno avvelenato, dove ti hanno imbrogliato, dove sono stati maleducati, ma nella maggior parte dei casi la nostra perplessità nasce da una semplice domanda: c’era bisogno di un locale così?

Ci riflettevamo qualche giorno fa, mentre con il nostro e vostro Dominique Antognoni eravamo al This is not a sushi bar di via Sanzio, chiaramente in incognito e pagando il conto. Nessuno ce l’aveva segnalato, siamo stati attirati dal nome improbabile dei locali di questa catena nata nel 2007 che a Milano ha cinque punti vendita (gli altri in via Papi, via Casati, via Bixio e via Conca del Naviglio) e che è centrata prevalentemente sul take away e sul delivery, anche se qualche posto a sedere c’è. Niente di male nel far parte di una catena, se l’idea di base è forte. This is not a sushi bar è però un sushi bar, a dispetto del nome, come mille altri ma solo un po’ più piccolo: gli uramaki che abbiamo preso, California e Granchio, erano normali, tipo quelli della gastronomia dell’Esselunga, le altre proposte del menu in linea con quanto visto ovunque cambiando leggermente i nomi. Ce li vediamo i fondatori, che già magari pensano alla quotazione in Borsa o a vendere a un fondo di private equity, che dopo mesi di brain storming partoriscono soddisfatti questo nome.

La cosa che però ci ha colpito, e che abbiamo scoperto direttamente lì, è che si può pagare anche in follower. In sostanza se posti una foto del piatto su Instagram, con qualche nota entusiastica, potrai avere degli sconti: l’entry level sono i 1.000 follower, con cui si ha il secondo piatto gratis a patto di postare la recensione. Sapendo come funziona in altri posti, ci sembra almeno uno scambio alla luce del sole, onesto, per quanto molto triste. Ma 1.000 follower nel mondo di oggi sono niente, roba da influencer sfigati. Più ambizioso puntare al secondo step, quello dei 5.000 follower, che dà diritto a due piatti gratis. E così via, citando Black Mirror e sognando di diventare le Ferragni dei poveri, con 100.000 follower e 8 piatti gratis… Da italiani, la prima cosa che abbiamo pensato è che oggi comprare follower sul mercato costa pochissimo, qualcuno particolarmente sfigato potrebbe avere la tentazione di farlo.

Come ha ricordato di recente Valerio M. Visintin, secondo noi il più grande critico enogastronpomico italiano, nonostante l’enfasi posta sulle nuove aperture e sulle mirabolanti iniziative di chef e imprenditori vari, sono molti di più i ristoranti che chiudono di quelli che aprono. Citiamo i dati della Confcommercio: nel 2018 saldo negativo di 477 locali a Milano e di 392 a Roma. Dati mostruosi, provando a visualizzare 477 ristoranti tutti insieme. Il dato di tutta Italia è da brivido: meno 12.444. Anche ipotizzando posti piccoli significa 100.000 persone scomparse, senza pensare ai loro familiari. Magari adesso faranno gli influencer e avranno un piatto gratis, magari no.

Chiudiamo citando la filosofia di This is not a Sushi Bar, letta sul loro sito: “THISISNOTASUSHIBAR si distingue per NON avere una connotazione giapponese, NON avere un nome orientale, NON avere dei menu tradizionali e NON avere ambientazioni etniche. Ha una comunicazione innovativa, dissacrante e accattivante. Ambientazioni minimal e moderne. Ma ha soprattutto un sushi buonissimo preparato al momento. This Is Not An Ordinary Experience”.

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