The King, l’ossessione non è Elvis

26 Ottobre 2021 di Stefano Olivari

Pochi esseri umani nella storia sono stati più ipnotici di Elvis Presley e canzoni a parte ci sono scene con lui che abbiamo visto migliaia di volte: il ballo con Ann Margret in Viva Las Vegas, per dirne una, che farebbe diventare etero anche un medio opinionista di Rai Uno. Con colpevole ritardo abbiamo invece guardato The King, documentario del 2017 trovato su Netflix e con una chiave un po’ diversa rispetto al solito ripasso, che pure non manca. In sintesi: l’America di questi anni raccontata attraverso i luoghi di Elvis, emblema al tempo stesso del sogno americano e del suo fallimento. Però che palle questo fallimento del sogno americano: saranno meglio il sogno ghanese e quello birmano?

Questa dell’Elvis simbolo della decadenza non è in ogni caso la nostra idea, anzi pensiamo che l’Elvis bolso degli anni Settanta sia per molti aspetti più vivo ed emozionante dell’Elvis teen idol rock dei Cinquanta o del protagonista di film di plastica dei Sessanta. Però il film di Eugene Jarecki attraverso una molteplicità di interviste ha una linea chiara: l’America era già in decadenza, come spirito, ai tempi di Elvis, e nella classe media impoverita la disillusione si è trasformata in voto per, per…. Avete indovinato. Donald Trump.

Il viaggio viene fatto a bordo di una Rolls Royce Phantom V comprata da Elvis nel 1963 e che Jarecki si è aggiudicato nel 2014 ad un’asta per quasi 400.000 dollari. Scelta che ci è piaciuta molto, così come quella di alternare interviste fatte per il film (Alec Baldwin, Bernie Sanders, Dan Rather, lo stesso Trump) ad altre d’epoca, fra cui quelle a Elvis.

Il risultato viene portato a casa nonostante il discutibile impianto ideologico: se l’America fosse in declino, anche soltanto come spirito e come ‘sogno’, come mai continua tuttora ad essere il modello economico, tecnologico e culturale del resto del mondo? Magari scemi e sudditi gli altri, togliamo pure il magari, ma il declino ci sembra un’altra cosa.

Più incisivo il documentario è nel mostrare l’aspetto provinciale di Elvis, circondato da cortigiani ma diretto molto bene dal colonnello Parker, principale artefice del suo passaggio da cantante ad icona nazionale, grazie alle sue entrature con radio e televisioni. Un film particolare, che poco aggiunge alla conoscenza di Elvis per chi già lo conosce, ma che in un certo senso lo modernizza. Anche se si capisce benissimo che l’ossessione del mondo del cinema non è lui.

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