Teste di Modigliani

29 Agosto 2013 di Stefano Olivari

Abbiamo letto della possibilità che le mitiche teste di Livorno, le sculture erroneamente attribuite a Modigliani nel 1984, vengano esposte. La notizia ci offre quindi il pretesto per ricordare la più grande burla della storia dell’arte, che ci colpì perché fra i principali beffati ci fu quell’Argan sui cui testi noi (non) studiavamo storia dell’arte. Una burla che coinvolse quasi tutti i critici e gli esperti, oltre che i membri togati della casta culturale. E solo uno degli autori coinvolti era un artista o aspirante tale… Le prime due teste furono ritrovate nel Fosso Reale nel luglio del 1984 e la prima reazione mediatica fu quasi unanime: burla, al limite un autore sconosciuto che si ispirava a Modigliani. Perché, fedeli al Forse non tutti sanno che della Settimana Enigmistica, bisogna ricordare che nel 1909 Modigliani, tornato per poco tempo a Livorno e depresso per la scarsa considerazione di cui godevano le teste di pietra a cui stava lavorando, aveva preso le sue opere e le aveva buttate via. Questo secondo la leggenda ma anche secondo la figlia Jeanne, che da Parigi manifestò subito un notevole entusiasmo. Sentimento che iniziò a prendere un po’ tutti quelli che si occupavano d’arte in città, a partire da dalla direttrice dei Musei Civici, Vera Durbé. Pochi giorni di dibattito e da Parigi arriva la notizia della morte di Jeanne Modigliani, per emorragia cerebrale in seguito a una caduta casalinga. La giovane età (dell’epoca) non ci impedì di leggere su ogni giornale collegamenti fra l’emozione per il ritrovamento e l’incidente. All’inizio di agosto l’arte continua a riaffiorare dal Fosso Reale e viene ritrovata una terza testa. Il dibattito diventa nazionale, con qualunque tipo di esperto che scende in campo. Verdetto maggioritario: le teste sono di Modigliani. Poco dopo i primi ragazzi autori della burla, vedendo che la situazione era andata al di là del previsto, raccontarono tutto: prendendo un catalogo su Modigliani, avevano in maniera casalinga lavorato quei blocchi di granito con un trapano e uno scalpello, cercando di copiare il meglio possibile. Aggiunsero anche che l’opera nemmeno li convinceva, non essendo loro artisti, e che mai avrebbero pensato di ingannare la cultura ufficiale. Attenzione: opera, al singolare. Sostenevano di essere autori solo di una delle prime due teste ritrovate. Quei giorni furono i più ridicoli dell’intera storia, con la stampa che cercò di far passare i ragazzi come figli di papà annoiati se non addirittura come ‘fascisti’ che avevano voluto destabilizzare la comunista (ma anche fascista, vedere Ciano e dintorni) Livorno e una presunta cultura seria. Il tocco di classe ce lo misero alcuni critici d’arte: non paghi di essersi fatti beffare, reiterarono l’errore sostenendo che almeno una delle teste era di Modigliani. Sull’Espresso, con un memorabile articolo, Giulio Carlo Argan (fra le altre cose ex sindaco di Roma), continuò a sostenere l’autenticità delle opere, sostenuto anche dal soprintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, Dario Durbé (fratello di Vera). Mentre il capo dell’altro fronte, Federico Zeri (autore di un bellissimo libro scritto insieme a Roberto D’Agostino, Sbucciando piselli), sosteneva che fossero nulla più di falsi ben fatti. L’autore della prima e della terza testa saltò poi fuori: si trattava di un pittore livornese, Angelo Froglia, il quale dichiarò però che i suoi intenti non erano scherzosi ma di tipo artistico, nel senso che voleva smascherare l’ignoranza dei critici d’arte che lo ignoravano (missione compiuta). Conclusione? Non è un caso se oggi vengono ricordati più i quattro ragazzi che Froglia, fra l’altro morto 16 anni fa: loro lo avevano fatto per autentico spirito anni Ottanta in salsa toscana, lui per ribellarsi a quella che percepiva come un’ingiustizia. Gli anni Ottanta sono finiti e possiamo ricordarli nel modo che ci pare, l’ingiustizia e la mafiosità dell’ambiente culturale italiano invece continuano. E non fanno ridere.

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