Purity, buoni ingredienti per un cattivo Franzen

21 Luglio 2016 di Stefano Olivari

Noi che leggiamo tutti i giorni Tuttosport possiamo permetterci di criticare Jonathan Franzen? Sì, perché il suo Purity è uno dei libri che più ci ha deluso, in proporzione alle aspettative strapositive che avevamo. Dovute ai romanzi precedenti (il nostro preferito è La ventisettesima città anche se quelli dopo, in particolare Le correzioni, sono stati più celebrati) ma anche agli ingredienti messi in campo per questo nuovo mattone: il web e l’impossibilità della segretezza, con evidenti somiglianze di uno dei protagonisti con Julian Assange, lo sbandamento della classe media intellettuale, la precarietà, il totalitarismo soft della Germania dell’Est anni Ottanta, il giornalismo online, l’opinione pubblica facile da ingannare. Insomma, sulla carta non mancava niente per piacerci, anche perché su molti di questi argomenti la pensiamo come l’autore, però Franzen ha tirato fuori una poltiglia involontariamente trash, una specie di soap fra matrimoni, grandi fortune nascoste, le pagine sulla masturbazione che fanno tanto grande autore americano (ma non lo sanno che il 100% degli esseri umani si masturba?), padri segreti, disgrazie assortite, tutti che flirtano con tutti in maniera ambigua. Ma se la trama è ben congegnata e può piacere, a patto però di non fare poi gli snob con le fiction di Rai Uno, lo stile di questo romanzo è stranamente farraginoso, con un abuso di discorso diretto quasi che Purity (è il nome della protagonista femminile, che però si fa chiamare Pip) fosse un testo teatrale. Ma il vero problema, da lettori, è che non c’è calore e non riesce mai ad appassionare. Era poi soltanto un pretesto per parlare della nostra incapacità di lasciare a metà la lettura di un libro, come questo avrebbe secondo noi meritato. Retaggio scolastico, senso di colpa per non aver capito il lavoro di un grande autore, un certo gusto per l’orrido (abbiamo letto anche libri di Alain Elkann, ma lì le aspettative erano altre), dispiacere per il tempo già buttato dipenticandoci del fondamentale meccanismo dello stop loss? Un po’ di tutto questo, ma soprattutto l’ultima. I rigori possono essere sbagliati da Zaza come da Messi, per fortuna anche un grande scrittore non si può giudicare soltanto dall’ultima uscita.

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