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Sventolando il bandierone

Stefano Olivari 25/09/2007

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FINALMENTE – Dopo 15 anni gli Stati Uniti torneranno a ospitare una finale di coppa Davis, trofeo che non vincono dal 1995. Fu proprio a Mosca, contro la Russia, l’ultimo successo, e saranno proprio i russi gli avversari che dovranno sfidare gli americani, una riedizione della Guerra Fredda che fa piacere perché vuol dire che il tennis ha superato tutti i confini. Gli Usa, va sa sé, sono favoriti (giocano in casa, su superficie rapida), ma il segno dei tempi è che, in generale, sono i russi ad essere più avanti nel tennis di oggi. Insomma, costruita una buona squadra con Roddick, Blake e i gemelli Bryan, gli americani fanno fatica a far emergere nuovi giovani, attratti forse da altri sport mentalmente meno impegnativi. In pratica: l’accademia Bollettieri è zeppa di stranieri, gli Usa per il momento cercano di tirar fuori qualcosa da gente come Querrey, Young e Isner, ban sapendo che i tempi di McEnroe, Connors, Sampras e Agassi sono lontani. Anche con la Davis in mano.
SVENTOLIAMO IL BANDIERONE – A questo proposito la Federtennis e il suo ineffabile ufficio stampa staranno preparando la discesa in piazza con il bandierone in mano per la vittoria di Israele sul Cile nei playoff del Gruppo mondiale. “Visto che perdere in Israele non è un disonore?”, questo il succo dei peana che ci aspettano, con conseguenti “alèè oòò” e relative pernacchie ai giornalisti poco allineati. Infatti: perdere contro Israele non è un disonore (lo si sapeva anche prima della sfida e lo si era detto), il problema è come lo si fa. Gonzalez e Massu hanno lottato, i nostri no: il bandierone lo avevano ammainato ancora prima di scendere in campo.
FENOMENI IN CASA – Il discorso insomma è sempre il solito: la Davis non è vero tennis (lo dice anche il presidente Binaghi, peccato lo faccia quando si perde), i risultati veri arrivano dai tornei e possibilmente dagli Slam, nei quali – abbiamo visto – l’Italia soprattutto maschile ha un rendimento al di sotto della semplice insufficienza. Invece di additare i cattivi ed esaltarsi per le vittorie degli altri, una federazione cosa dovrebbe fare? Magari lavorare in silenzio e aiutare i giovani con maggiore talento, anche se non passano al Centro tecnico di Tirrenia. Ma già: sarà certo per quei 3000 euro l’anno che arrivano da Roma che uno come Miccini diventerà un fenomeno.
QUEL CHE E’ MIO E’ MIO – A proposito di Tirrenia e dintorni, rivela Ubaldo Scanagatta un’infelice battuta di Christian Brandi agli UsOpen quando gli è stato chiesto un parere sul fatto che due italiani fossero in semifinale del torneo junior. “Di mio c’è solo Trevisan” ha detto Brandi, il che sarebbe sgradevole già se fosse involontario, figuriamoci se ci fosse dolo. Certo, Fabbiano si allena da solo e magari non raggiungerà i risultati di Matteo. Di sicuro però c’è anche che Trevisan è il giocatore con il servizio più forte di tutto il circuito junior e che – come dice Bollettieri – “se venisse qualche volta a rete diventerebbe un giocatore forte”. Putroppo a Tirrenia pare non gliel’abbiano ancora detto.
BRAVA, BIS – Per non parlare solo di cose negative diciamo allora che Corinna Dentoni ha vinto il torno di Tbilisi, un ITF da 25.000 dollari, lasciando per strada un solo set. Un risultato importante per una ragazza che in prospettiva può diventare una giocatrice vera. Corinna si affaccerà intorno alla trecentesima posizione e ha solo 18 anni. Certo, non è Maria Sharapova, però…

Marco Lombardo
marcopietro.lombardo@ilgiornale.it

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