Ciclismo
Longo e Van Moorsel, il duello secondo le donne
Simone Basso 02/12/2014
Hai voglia a definirlo solo un gioco. Soprattutto per loro, gli attori professionisti. Lo sport, al pari dell’arte, tira fuori il meglio e il peggio dagli esseri umani. Cervello, cuore e viscere. Non ci siamo mai bevuti le fandonie su Olimpia e la Grecia antica; basterebbero tre pagine di Weeber per confutare l’ambaradan sulla nobiltà di quei gesti… A patto che lo sport venga demistificato da chi lo vede, e che invece lo tratta alla strégua di un culto teosofico, ci piacciono le rivalità estreme. Le storie tese che debordano in un sano (?) odio agonistico. Per esempio, malgrado Coppi, Bartali e il sudore degli Dei, in Italia un duello più vero di quello tra Belmondo e Di Centa, nel bel mezzo dei Novanta, non l’abbiamo mai visto. Perché, al di là del bene e del male, era inveterato: privo del rispetto reciproco. È una dimensione femminile, che si stacca dal concetto sportivo, virile, di noi maschietti: polverizzato quanto l’idea di politicamente corretto. Ricordate Tonya e Nancy?
Nel ciclismo, scusandoci con le faide fiamminghe dei Van Looy e Merckx, nulla fu pari allo scontro fra le regine Longo e Van Moorsel. La spiegazione è banale: le due, tranne l’essere campionesse, anzi campionissime, non condividevano alcunché. Visioni diametralmente opposte della vita, del mestiere, del porsi al prossimo. La sfida, per circostanze che hanno a che fare con le vicende personali di entrambe, durò poco ma fu tremenda. E coincise con lo zenith del movimento rosa nell’era delle pioniere. L’apice assoluto avvenne nell’agosto 1992, al Tour. Nove tappe e un prologo, da Parigi – la partenza sotto la Torre Eiffel – a l’Alpe d’Huez, attraverso i Pirenei e il Midi, con tutti gli astri sincronizzati. Jeannie e Leontien, il pubblico e l’interesse mediatico crescente, la diretta di TF3.
Il Tour 1992 visse sull’equilibrio instabile del loro confronto. Tappa dopo tappa (due vinte a testa) si arrivò alla frazione conclusiva, la nona, Le Fontanil – Alpe d’Huez, con l’olandese in giallo e Longo ad appena nove secondi. Odin, Dunlap e Schop scapparono dopo il via, ma l’OK Corral si preparò all’abbrivio dell’Alpe. Longo impose subito un ritmo infernale e, al dodicesimo tornante (su ventuno), rimasero lei e la maglia gialla. A ogni accellerazione, Van Moorsel – che non perdeva un metro – pareva l’ombra della rivale. A un certo punto, frustrata dalla tattica difensiva dell’iridata, Jeannie si fermò con l’avversaria – tetràgona, impassibile – alla ruota. Una scena incredibile, senza precedenti. La francese si arrestò (e ripartì) quattro volte; la brabantina rispose senza battere ciglio. Surplace, nemmeno fossero in un velodromo, non sulle rampe della salita più famosa del mondo. Sotto la flamme rouge l’ultimo, disperato, tentativo di Longo. Van Moorsel non tremò e la castigò allo sprint. Bottino pieno: tappa, classifica finale, la competizione a punti e il Gran Premio della Montagna. Leontien avrebbe continuato a dominare sino all’autunno del 1993 poi, all’improvviso, accadde qualcosa…
L’anoressia nervosa la portò altrove: scomparve dall’orizzonte, impegnata in una gara ancor più difficile. Intanto Jeannie, nei rapporti con le altre, toccò il punto di non ritorno. Ai Mondiali di Agrigento, 1994, cinque in avanscoperta e due transalpine di alto lignaggio: Marsal (l’erede presunta) e Odin. Longo tiro à bloc – cattivissima – per riprenderle e così fu, a cinque chilometri dal traguardo: vinse la Valvik, Jeannie nona, le bleus disperse e furiose. Bandita dalla nazionale a tempo indeterminato, al rientro dall’esilio si prese l’ultimo scalpo che le mancava: l’oro olimpico ad Atlanta. Leontien si sposò con l’allenatore Michael Zijlaard, guarì dalla malattia e risalì in bici: rotondetta, non più adatta ai Giri, ma la classe era intatta. Chiuse il cerchio, più che a Sydney (2000) e ad Atene (2004), a Valkenburg nel 1998. Il dì che vestì l’arcobaleno della crono di fronte al pubblico di casa. Il commento della Longo, bisbetica indomabile, non si fece attendere: “La pipì del controllo antid****g della Van Moorsel l’avranno gettata nella Mosa…”. La nemica esibì un’indifferenza glaciale a quelle parole. Pensiamo che con la memoria però sia tornata a quel pomeriggio di fuoco sull’Alpe. Quando bisbigliò all’avversaria il nomignolo, feroce, irripetibile, che le affibbiò il gruppo. Connasse.