Stefano Mei e il mito degli ex atleti

2 Febbraio 2021 di Stefano Olivari

Stefano Mei  è il nuovo capo dell’atletica italiana, eletto presidente della FIDAL domenica scorsa dopo la vittoria, parzialmente a sorpresa, sul generale della Finanza Vincenzo Parrinello e sull’ex segretario generale del CONI Roberto Fabbricini. Onore delle armi per Alfio Giomi, uno dei pochi presidenti di federazione a mollare di propria volontà una poltrona. E subito la nostra domanda cattiva, forse anche una cattiva domanda: un ex campione davvero può fare meglio di chi è nato, o comunque ha sempre studiato, da dirigente? Certo con Maldini e Galliani avremmo fatto più click…

Senza mettersi a fare esempi internazionali e troppo lontani dalla nostra cultura, come presidenti di federazione vengono in mente Giuseppe Abbagnale, Dino Meneghin, Oreste Perri, lo stesso Franco Arese della FIDAL, se vogliamo stare su chi ha ottenuto da atleta vittorie importanti fuori dall’Italia. Dimentichiamo qualcuno ma si tratta comunque di pochissimi nomi e la spiegazione banale è che a votare non sono i tesserati, quindi i singoli praticanti (diversamente presidente della FIGC sarebbe Gianni Rivera, certo non Gravina), ma le società. Che seguono logiche regionali ed altre, meno confessabili, di ricezione di finanziamenti. Poi è chiaro che esiste anche il voto di opinione, ma la storia delle federazioni ed in generale del mondo CONI, pieno di candidati unici ed acclamazioni bulgare, insegna che è sempre stato minoritario.

Stefano Mei, dunque. L’oro nei 10.000 metri agli Europei di Stoccarda 1986, superando in volata Alberto Cova (la cui carriera ad alto livello finì lì) e Salvatore Antibo, ha molte idee e nessuna ci sembra eversiva. Lui stesso, ex Fiamme Oro, è un poliziotto e certo non ha intenzione di scardinare un sistema che garantisce stipendi di Stato a centinaia di personaggi anche oscuri, senza gravare sul bilancio della FIDAL. Di certo un ex campione al comando, non solo nell’atletica ma anche negli altri sport, garantisce in teoria la presenza di una persona che conosce la differenza fra una vittoria e una mancata qualificazione, fra una finale olimpica e una gara locale. Perché lo sport professionistico è un lavoro ma certo non è un diritto, anche se nono solo nell’atletica è vivo il mito del ‘posto’ pubblico: chi non è capace, o non ha abbastanza ambizione, faccia altro. In questo senso tanti ex atleti, non solo come presidenti federali (è il caso di Meneghin, al di là del patto con Petrucci), si sono rivelati deludenti. Ma quella di Mei sembra davvero aria nuova.

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