Squid Game, giocare per la vita

30 Settembre 2021 di Paolo Morati

Non siamo amanti delle serie che mettono al centro angoscia e situazioni violente. Ma nonostante questo siamo rimasti particolarmente coinvolti da Squid Game, la produzione coreana uscita da poco su Netflix, fondata sulle miserie del genere umano di fronte a un’ultima spiaggia piuttosto consistente, ma mortale in tutto e per tutto.

Il personaggio attorno al quale ruota inizialmente la vicenda di Squid Game è lo squattrinato scommettitore Seong Gi-hun, che dopo un incontro apparentemente fortuito in metropolitana si ritrova insieme ad altri 455 disperati in un luogo misterioso per competere in giochi da bambini a partire dal celebre Un due tre stella… fino al Gioco del calamaro, da cui il titolo. Peccato che l’eliminazione si riveli subito ben più tragica rispetto a quella che subivamo noi ai nostri amati giardinetti.

La vicenda in nove episodi narrata da Squid Game, con dialoghi originali in coreano e in qualche parte in inglese, inizia lentamente per poi accelerare tra dubbi che attanagliano i protagonisti, scontri al limite dello splatter (ma i più sensibili possono sempre mandare avanti le scene più ‘rosse’) e l’inevitabile tifo per il proprio preferito. Diverse le trovate che il creatore e regista Hwang Dong-hyuk mette sul piatto per appassionare e spingere al binge watching, inserito in un contesto claustrofobico (comprese le guardie dal volto coperto e i loro dormitori, fino all’alloggio dei concorrenti) ma nel contempo caratterizzato da colori e costruzioni che rimandano all’infanzia.

Tanti i colpi di scena in Squid Game, con il mistero di questo gioco per la vita (quale vita?) che si svela alla fine aggiungendo un ulteriore tassello alla miseria umana, dove i partecipanti si ritrovano a loro volta pedine di un gioco finalizzato al divertimento altrui. Una serie cupa, priva di pace, ma da guardare per riflettere sui confini della disperazione, dove la morte ha più interpretazioni, con la fatica di non farsi troppo coinvolgere. Del resto è sempre e comunque fiction. O no?

Share this article
TAGS