Sognando Yaschenko

27 Febbraio 2013 di Stefano Olivari

Quanto contano i campionati europei indoor che stanno per disputarsi a Goteborg? Poco, scrivendo prima degli eventi. Tanto se qualche italiano porterà a casa qualche medaglia. E’ il destino di questa atletica minore, dove i cicli di carico-scarico impediscono a molte stelle di essere al meglio o proprio di esserci. E’ comunque una manifestazione che spesso ha detto bene agli azzurri, anche ad azzurri ai quali all’aperto è mancato in carriera il risultato della vita. Su tutti Donato Sabia, oro nel 1984 negli 800 metri proprio in un’altra edizione vista a Goteborg (ce n’era stata una anche nel 1974), prima di essere finalista olimpico a Los Angeles e Seul. Ma la nostra edizione del cuore è quella del 1978 a Milano, la prima di sette seguite dal vivo prima che il grigiore e il declino della classe media ci travolgessero. Oro di Mennea nei 400 metri e della Simeoni nell’alto, ma soprattutto un’apparizione mistica: quella del diciannovenne sovietico Vladimir Yaschenko.  Le cui vita e morte sono abbastanza note, pur non spiegando il fascino magnetico che questo atleta esercita ancora a decenni di stanza nonostante le sue stagioni di gloria siano state in pratica solo tre. Sarà perché Yaschenko è stato l’ultimo grande interprete dello stile di scavalcamento ventrale, che a metà degli anni Settanta era stato ormai abbandonato da tutti, sarà perché i grandi campioni sovietici avevano intorno a sé un’aura di mistero (e qualcuno anche di doping, ma non sembra questo il caso), sarà perché chi muore, atleticamente ma anche poi purtroppo biologicamente, giovane gode dell’effetto James Dean. Il pubblico generalista sente parlare per la prima volta di Yaschenko, in quell’era pre-web, nel 1977 quando a 18 anni, a Richmond, durante una sfida fra le nazionali juniores di Usa e Urss stabilisce con 2,33 il record mondiale assoluto. Con il ventrale, ovviamente, superando al primo tentativo la misura di Dwight Stones. Non è uno sconosciuto, Yaschenko, e pochi mesi dopo diventerà campione europeo juniores giocando quasi in casa, a Donetsk. La sera del 12 marzo 1978 in un Palasport di San Siro (proprio quello chiuso per neve nel 1985 e poi abbattuto) entusiasta, con almeno 10mila persone presenti (c’eravamo: niente tutto esaurito ma comunque numeri notevoli), in un’epoca in cui anche al bar c’era una cultura multisportiva (magari ugualmente da tifosi, ma comunque non solo di calcio), il ragazzo ucraino salta 2,35 ritoccando il record assoluto e ovviamente anche quello indoor. Da notare che in un’epoca in cui ormai pochissimi adottavano il ventrale anche la medaglia d’argento, il tedesco est Beilschmidt, era un ventralista osservante.


Il 1978 è il suo anno migliore, perchè porta a 2,34 il record all’aperto (misura con cui qualche mese fa a Londra sarebbe stato argento olimpico) e poi vince anche gli Europei ‘veri’ a Praga, nell’edizione che tutti ricordano anche per straordinaria battaglia fra Sara Simeoni e Rosemarie Ackermann in condizioni atmosferiche proibitive, con l’italiana a prevalere eguagliando il suo stesso record mondiale a 2,01. Dopo un altro oro europeo indoor nel 1979, a Vienna, per Yaschenko l’inizio della fine con problemi al ginocchio sinistro e poi la rottura dei legamenti crociati durante una gara a Kaunas. In quel momento è il divo assoluto dello sport sovietico, il suo 1,95 e i suoi capelli lunghi biondi lo rendono spendibile anche all’estero. E’ difficilmente inquadrabile nello stereotipo dell’atleta socialista, ma di sicuro è tutt’altro che un ribelle nei confronti di un sistema in cui comunque vive da privilegiato. Disperato il tentativo di rientro per i Giochi di Mosca, che in caso di oro sarebbero stati ricordati in eterno come i suoi Giochi, disperato ma fallito di fronte all’evidenza medica. A 21 anni l’alcol, da strumento per festeggiare le vittorie diventa compagno di vita abituale e il tentativo di rientro nel 1983 si schianta su misure quasi femminili. Vladimir ha 24 anni e non salterà più, però non è vero che gli ultimi anni della sua esistenza siano stati trascorsi solo nell’abbrutimento. Due anni di servizio militare light, il ritorno all’università per laurearsi in educazione fisica, una vita da spettatore nell’era Gorbaciov e da baby-pensionato fino almeno al dissolvimento dell’Unione Sovietica nel 1991. Da li il rotolamento verso sud, tra alcolismo, depressione, cirrosi epatica ed infine un tumore al fegato che nel 1999 finalmente se lo porta via evitandogli altri decenni di vita e di rimpianti.

http://www.youtube.com/watch?v=wQhsHcuroW8

 

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