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Senna

Indiscreto 16/12/2024

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Abbiamo seguito religiosamente Senna, sia nel senso di Ayrton fino a quando ha vissuto sia in quello della serie vista su Netflix: sei episodi molto curati e anche emozionanti, che scontano soltanto po’ il peccato originale di essere un’opera autorizzata dalla famiglia. Poi è ovvio che i biopic siano rivolti ai fan del personaggio, impossibile pretendere una complessità che non ha mercato, per lo meno sui grandi numeri: discorsi già fatti in mille altri casi. Poi nella serie di Vicente Amorim la bellezza visiva e la passione per i dettagli sono innegabili: le riprese delle gare sono coinvolgenti ma non da videogioco, e il protagonista è molto credibile pur non essendo un sosia. Curiosamente Gabriel Leone si era già visto in Ferrari, il film di Michael Mann in cui è nella parte di De Portago, anche lui con una fine prematura.

Un punto di forza della serie è quello di essere brasiliana, con quel gusto per la predestinazione, per il nazionalismo non cattivo, per una religiosità fatta di piccoli segni: tutte cose che al di là di Senna non sarebbero credibili in altri paesi. Molto bella la parte sul kart e sulle formule minori in Europa, facendosi largo in un mondo anglocentrico con un po’ di Italia, a livello tecnico e di sponsor (quando c’erano industrie, non youtuber e gestori di bilocali). In particolare ben raccontato il duello del 1983 con Brundle, nella Formula 3 inglese, risoltosi all’ultima gara con il leggendario (ma davvero messo in pratica, abbiamo studiato la Divina Commedia sul Bignami ma possiamo citare quasi a memoria un Autosprint d’epoca) trucco del radiatore coperto con nastro adesivo, per migliorare l’aerodinamicità, nastro tolto poi guidando quando il motore era a pochi secondi dall’esplodere: una cosa da pilota anni Trenta, uno dei mille motivi per cui Senna è Senna e chi ha vinto più di lui (comunque pochi) no.

Per essere una serie autorizzata il privato di Senna, almeno quello pubblico, è raccontato abbastanza bene: ci sono Lilian, la giovanissima moglie che lo aveva seguito in Inghilterra, Xuxa, cioè la più famosa presentarice tv brasiliana, che qualche anno prima era stata legata a Pelé, addirittura nella parte finale della serie si vede Adriane Galisteu che la famiglia Senna Da Silva detestava. Manca Carol Alt, storia quasi ufficiale, al punto che ai Telegatti 1991 si presentarono insieme, ma ci sono diversi riferimenti a situazioni da una botta e via che Senna, consapevole del poco tempo a disposizione, non disdegnava. Non male nemmeno la parte politica sulle corse, al di là del vittimismo (giustificato) per regole fatte contro di lui, come quelle proprio del 1994, e per certe decisioni come lo stop a Monte Carlo deciso da Balestre, con Senna che stava incredibilmente per vincere con la Toleman.

Davvero forte, al di là degli eventi già tremendi di loro, la parte su Imola 1994 per la capacità di restituire il clima di quei tre giorni con la morte sfiorata da Barrichello il venerdì, quella di Ratzenberger il sabato e quella più incredibile di tutte la domenica. Diciamo incredibile perché secondo la prassi italiana l’autodromo in caso di incidente mortale avrebbe dovuto essere messo sotto sequestro. Ma Ratzenberger tecnicamente era morto all’ospedale di Bologna, come il suo collega il giorno dopo. Dire che Senna la morte se la sentisse, vista la quantità di segni premonitori (nella serie ce n’è qualcuno, ma non tutti a partire dagli ultimi passi della Bibbia letti), ci può stare, ma va anche detto che era dal 1986 che non c’erano stati morti in Formula 1 e che non ce ne sarebbero stati per i successivi 20 anni. Insomma, una serie con qualche difetto ma assolutamente da vedere, con il pregio di non mostrare Senna come un intellettuale scomodo ma come l’unico pilota nella storia a scatenare sentimenti di massa. Continuiamo a sognare una fiction in cui Senna alla fine viva.

stefano@indiscreto.net

 

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