Semifinalisti fuori dalla storia

16 Gennaio 2007 di Roberto Gotta

1. Come accade per altri sport di squadra (e non solo), le semifinali, o finali di conference che dir si voglia, rappresentano un momento spesso più affascinante della finalissima, in questo caso il Super Bowl. Il motivo è ovvio: perdere un SB o una finale di Champions League è dolorosissimo, ma intanto ti sei goduto l’atmosfera della grande partita, ne hai tratto insegnamenti anche sul piano dell’atteggiamento verso i media e della preparazione che serve per affrontare un continuo assalto di giornali e televisioni, spesso con domande identiche ripetute più volte o semplicemente con domande idiote, ed è facile che quel che hai visto ti predisponga a vivere meglio un eventuale appuntamento successivo con occasioni del genere, anche se non risulta che i Buffalo Bills, sconfitti quattro volte in quattro Super Bowl tra gennaio 1991 e gennaio 1994, abbiano poi tratto particolare conforto da ciascun viaggio malandato alla partita decisiva. E’ però vero che chi perde in semifinale viene quasi dimenticato, così come a volte cadono nell’oblio partite straordinarie. Ecco perché è legittimo attendere con curiosità le finali di conference di domenica prossima, senza voler fare stupide differenze di stuzzichio tra Bears-Saints e Colts-Patriots.
2. Oddio, se uno scorre i siti Web ed i quotidiani americani, specialmente quelli del Nord-est che a malapena si dedicano a scoprire cosa ci sia ad ovest di Washington, trova che la finale della AFC viene ritenuta di maggiore interesse e di maggior livello tecnico, perché oppone alla squadra di maggior successo degli ultimi anni, New England, quella che probabilmente ha più motivi di essere carica, ovvero Indy. Partiti benissimo anche quest’anno, fermatisi poi sulle secche di una difesa sulle corse che non riusciva a fermare nessuno (ma ora in due gare di playoff ha concesso un totale di sole 127 yards), perso il vantaggio del fattore campo in tutti i playoff – che peraltro lo scorso anno non aveva dato alcun frutto nella semifinale di conference contro Pittsburgh – obiettivamente i Colts parevano avere gettato via un altro anno, con l’allegato di questo curioso fenomeno del dispiacere che molti (ma non tutti, sia chiaro) hanno nel vedere che un quarterback dalla eccezionale capacità di comprensione del gioco, Peyton Manning (foto), non riesce mai ad arrivare al Super Bowl. E’ almeno da un biennio che Manning ha superato quel che secondo alcuni era un complesso Patriots, ma ci si era sempre riferiti a partite giocate in trasferta, a Foxboro, dove spesso in gennaio le condizioni atmosferiche sono pessime e si ritiene che alle naturali doti di Qb si debbano accoppiare altrettanto vistose qualità di robustezza psicologica: perso contro i Patriots nei playoff del gennaio 2004 e 2005, Indy aveva poi vinto (ma in regular season) due volte di fila, l’ultima quest’anno in un Monday Night Football – trasmissione tv che con il Match of the Day inglese degli anni Settanta è la nostra preferita di sempre, per quel che può importare ai lettori – ma ora si profila un interessante ribaltamento della situazione.
3. Perché anche volendo prendere in considerazione l’ormai annosa reputazione di Marty Schottenheimer, coach di San Diego, come allenatore incapace di vincere le partite che contano nei playoff, era facile pensare che alla finale della AFC sarebbero arrivate le due squadre fino a quel momento rivelatesi migliori, ovvero San Diego e Baltimore, l’una potente in attacco con lo splendido running back LaDainian Tomlinson, Mvp della NFL, l’altra tornata a grandi livelli con la sua difesa. Ma San Diego, 14-2 in regular season, ha fallito in casa contro New England commettendo parecchi errori: clamoroso quello del defensive back Marlon McCree (foto), che su un passaggio di Tom Brady al quarto tentativo e 5 da guadagnare dalle 41 dei Chargers, con San Diego avanti 21-13 a 8’ dalla fine, ha intercettato il pallone e se l’è fatto strappare da Troy Brown, con fumble ricoperto dai Patriots che poco dopo hanno segnato il touchdown con Reche Caldwell e trasformato da due punti (geniale snap diretto dal centro al running back Kevin Faulk, mentre Brady distraeva la difesa fingendo con un gesto esagerato di ricevere il pallone). L’errore di McCree è stato doppio: in genere, quando la squadra avversaria lancia al quarto tentativo, ai difensori viene insegnato di non cercare di prendere il pallone ma di deviarlo verso terra determinando un passaggio incompleto, così da evitare che una cattiva presa tenga ‘viva’ la palla per un avversario e permettere quindi la ripresa dal gioco per la propria squadra dal punto in cui era partita l’azione avversaria e non da quello dell’intercetto, che è generalmente più sfavorevole; se poi uno ritiene che sia comunque più prudente catturare il pallone, all’arrivo di un avversario è più importante tenerselo stretto, o anche buttarsi per terra, che rischiare un fumble e vanificare lo sforzo difensivo. Ed è invece proprio quel che ha fatto McCree: intercetto (fa statistica e onore, bisogna capire…), tentativo di ritorno, palla strappata da Brown, che per sfortuna di McCree è uno dei pochissimi giocatori NFL dell’era moderna ad avere giocato con frequenza sia in attacco sia in difesa e dunque ha la mentalità giusta per cercare immediatamente la palla, sul placcaggio, e non solo l’atterramento altrui.
4. E Bears-Saints? Si gioca all’aperto e al freddo e questo (molto) teoricamente può influire sull’efficacia dei lanci di Drew Brees, ma è anche vero che la difesa di Chicago, dopo la perdita del defensive tackle Tommie Harris e del safety Mike Brown, non è più la meravigliosa cortina di ferro che per gran parte della stagione aveva ricordato addirittura l’indimenticable difesa 46 dei Bears vincitori del Super Bowl nel gennaio del 1986. La vittoria dei Saints su Philadelphia ha mostrato ancora una volta l‘efficacia dell’attacco di New Orleans, ricchissimo: Deuce McAllister ha ripreso forma piena come running back e prima scelta di coach Sean Payton per le corse, Reggie Bush (foto) ha mostrato tre-quattro movimenti di quelli che lo rendono diverso da qualsiasi altro giocatore NFL quando ha un metro di spazio, anche nelle occasioni in cui le sue scelte lo portano a saltuarie perdite di yards. Quanto ai Bears, giocare in casa, con una difesa comunque forte, un leader come il middle linebacker Brian Urlacher e un attacco di corse con una coppia ben assortita come Thomas Jones e Cedric Benson, vuol dire il meglio che si possa chiedere se si vuole andare al Super Bowl e dipingere Miami di blu-arancio. Domenica, poi, Rex Grossman, il Qb, ha giocato molto meglio del previsto, compresa la strepitosa bomba da 68 yard per Bernard Berrian che aveva dato a Chicago il 14-7 con una splendida gestione della traiettoria da parte del ricevitore, anche se su Grossman resta il dubbio delle pessime prestazioni dell’ultimo mese, e certamente tra le scelte del defensive coordinator dei Saints, Gary Gibbs, ci sarà quella di mettere immediata pressione su di lui per costringerlo ad errori e minarne il morale. Se ciò è possibile dopo l’evidente riscatto del Qb dei Bears nella partita di domenica scorsa.
5. Peccato che le feste siano finite. Perché ci siamo dimenticati, a tempo debito, di segnalare un’opera editoriale di peso, in tutti i sensi. Trattasi dell’MVP Limited Edition Super Bowl XL Opus Book, che fa parte di una serie di Opus (tra cui uno dedicato al Manchester United) ovvero libri di enorme consistenza, da portare con una carriola se va bene, tirati in edizione limitatissima, arricchiti da foto riprodotte splendidamente e, nel caso del Super Bowl Book, specialmente quello Mvp, con un’addizione tremenda, ovvero l’autografo originale di 34 dei 35 Mvp dei Super Bowl giocati finora: 34 perché Joe Montana è stato Mvp tre volte, Tom Brady e Terry Bradshaw due, nel SB XII ci sono stati due Mvp a pari merito, uno dei quali, Harvey Martin, è purtroppo deceduto nel 2001, e il conto torna. Quanto costa questa meraviglia, di cui verranno stampate solo 400 copie, altro multiplo di 40, che è relativo ai Su

per Bowl giocati? Beh, multiplo per multiplo: 40.000 dollari, oltre 30.000 euro. E sì, ma in più chi lo acquista avrà l’opportunità di essere ritratto in posa, come gli Mvp ritratti nelle oltre 1200 foto del libro, dal celebro fotografo Walter Iooss Jr. Allora sì che conviene, vero? Se la risposta è no, resta il fratellino più piccolo, il Limited Edition Super Bowl XL Opus Book, che costa un altro multiplo di 40, con due zeri, ovvero ‘solo’ 4000 dollari, anche se non ci sono le firme degli Mvp né la scatola ricordo con le foto in posa degli Mvp. Ma anche qui ci sono in dotazione guanti bianchi per sfogliare le pagine senza rovinarle, e allora conviene, conviene davvero, altro che lo Swiffer per togliere la polvere dal computer…
6. In autunno, non si sa quando (ma verrà comunicato il 2 febbraio), si giocherà nel nuovo stadio di Wembley una partita di regular season NFL, quasi certamente Dolphins-Giants per vari motivi: servono squadre della costa est per evitare differenze di fuso eccessive per i giocatori, e non va bene una ‘classica’, ad esempio un Jets-Patriots, perché in quel caso chi gioca ufficialmente in casa non può avere l’apporto dei tfosi, mentre un Miami-NYG causerebbe una minore perdita di impatto emotivo. Appena possibile è il caso di mettersi ad organizzare qualcosa, per chi può. Le amichevoli estive sono pietose, le esibizioni NBA sono specchietti per allodole (ma almeno uno vede i giocatori da vicino, se non ha altro mezzo), una partita di regular season è tutt’altra cosa.

Roberto Gotta
chacmool@iol.it

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