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Se non spunta J.J. Barea

Stefano Olivari 18/06/2012

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I Thunder hanno per molti aspetti buttato via garatre delle Finals e nelle prossime ore siti e giornali americani saranno invasi da ragionamenti sui jump shooting team che non possono vincere un anello. il 4 su 18 da tre e il 15 su 24 ai lberi, presi così, suggerirebbero in effetti di cambiare qualcosa. Peccato che i Mavs dell’anno scorso fossero jump shooting 2.0 e che questa serie sia ancora in realtà apertissima, come ha confermato anche la prima partita a Miami. Rispetto a garadue, OKC ha avuto qualcosa in più dai lunghi: non tanto statisticamente, ma come tipo di scelte che hanno costrettogli Heat a fare. Molto strano il minutaggio relativamente scarso di Ibaka, con Brooks che ha voluto rispondere colpo su colpo alle mosse di Riley-Spoelstra abbassando la squadra e indebolendo l’unico settore in cui davvero non ci sarebbe stata partita (Turiaf, Anthony e Howard DNP, Haslem 14 minuti peraltro buoni). Molto bene Miami nel chiudere l’area e nel disturbare chiunque con mani veloci, la solita risalita dei Thunder nel terzo quarto (arrivati al più 10…) è stata stroncata da due falli su tiri da tre di Battier, da un inesistente quarto fallo di Durant e conseguente panchinamento suo (abbiamo capito meno quello di Westbrook) che ha fatto rientrare Miami, in generale da una maggiore intensità degli Heat: il LeBron costretto a giocare da quattro ha fatto bene a sé stesso e ai compagni, Bosh contro un vero lungo solo ha tenuto botta, le azioni di Wade continuano a salire. Poi stiamo a fare ragionamenti su una partita che nel quarto finale era punto a punto e che stava per essere decisa dalle palle perse, con discorsi sul metro arbitrale che potremmo definire ‘italiani’ se non fosse che i 35 liberi (contro 24) tirati dagli Heat hanno una precisa giustificazione tecnica considerando il modo in cui il canestro viene attaccato dalle due squadre. E’ in parte lo stesso discorso di Siena-Milano (vista garacinque registrata, coming soon Oscar Eleni), anche se nel caso della Montepaschi il problema non è la moviola dei singoli fischi ma il condizionamento ambientale (dal doppio ruolo di Pianigiani a situazioni al palazzetto tipo Salonicco) che porta gli avversari italiani (in Europa c’è chi è più cattivo) a trasformarsi in jump shooting team anche controvoglia. Tornando alla NBA, gli Heat sono esattamente allo stesso punto dell’anno scorso, due a uno, ma contro una squadra che temono e che pensano si possa risollevare (poi quando ti dice male c’è sempre un J.J. Barea che ti punisce, ma si parla di premesse): punto a favore di Miami. Dall’altra parte c’è una squadra che si rende conto di non avere dato ancora il suo meglio e che può proporre varianti tattiche. Bellissime Finals, dure ma senza l’intimidazione machista anche solo di un decennio fa. Uno dei pochi casi, considerando tutti gli sport, in cui le statistiche del passato hanno un peso specifico superiore a quello del presente.

Stefano Olivari, 18 giugno 2012

 

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