Schwazer deve salvarsi da Donati

11 Agosto 2016 di Stefano Olivari

Bisogna salvare Alex Schwazer, da se stesso ma anche da Sandro Donati. Nemmeno ora che il TAS l’ha squalificato per altri 8 anni la vicenda del marciatore azzurro è infatti vicina alla conclusione. Perché se la parte scientifica è stata chiarita, visto che la positività di Schwazer è stata riscontrata sia dai laboratori di Colonia sia di Montreal e il TAS non poteva certo smentirli a meno di non voler rimettere in gara centinaia di dopati, quella mediatica promette nuovi sviluppi: siamo in presenza di un ex dopato di nuovo trovato di positivo a un controllo antidoping, al di là delle cause (dolo, alimenti o integratori non controllati, tracce del passato, eccetera, ognuno ha la sua perizia di parte) della rilevazione dello steroide, eppure il suo entourage è riuscito a far passare nella testa di buona parte degli italiani che Schwazer sia vittima di un complotto. Doppio complotto, anzi, perché il vero obbiettivo sarebbe Donati stesso, per le sue battaglie contro il doping e per i suoi rivoluzionari (parole sue) metodi di allenamento: gli stessi metodi che hanno fatto marciare lo Schwazer ‘pulito’ più veloce del vecchio Schwazer dopato, doppiando anche le distanze, perché come è noto il doping fa andare più piano.

Che la IAAF venga da decenni di marciume e di copertura di stati-canaglia (la Russia era uno dei peggiori, ma non certo l’unico) è un fatto, denunciato da Donati e da altri, ma che abbia un qualche interesse nel perseguitare un marciatore italiano, magari con la connivenza della WADA (l’agenzia antidoping di cui Donati asseriva di essere consulente, prima di venire smentito), è invece difficile da credere e soprattutto da dimostrare. Senza contare che l’operazione Schwazer ha sempre avuto il sostegno concreto del CONI e della FIDAL, correttamente ringraziati da Donati, enti di cui è palese l’imbarazzo. Il problema è adesso un altro, visto lo sconcerto creato all’intervista rilasciata nella notte da Schwazer all’agenzia AGI: dall’idea donatiana di fare una 50 chilometri solitaria in concomitanza con la gara olimpica a quella ancora più balzana di puntare sul triathlon (Schwazer, ragazzo intelligente per quanto con vari problemi, ha osservato che non sa nuotare), emerge un ego smisurato e senza basi concrete. E non ci stiamo riferendo a quello dell’atleta, ma a quello di chi si era troppo innamorato di un’idea e della ribalta personale.

Poi buona parte delle denunce riguardo al sistema della marcia (a partire dai giudici e dai loro avvertimenti) sono fondate, ma la doppia positività di Schwazer rimane. A meno di non voler direttamente abolire la marcia, idea che non sarebbe poi nemmeno strampalata. Qualche mese fa Sandro Damilano, adesso allenatore dei cinesi (antipatizzante, ricambiato, di Donati) e guida tecnica dello Schwazer oro di Pechino, dichiarò al Corriere della Sera di temere per il migliore dei suoi allievi una deriva umana tipo Pantani. Se non si libera del vittimismo e del donatismo (Primo e unico comandamento: sono tutti dopati tranne noi) è possibile che questo accada.

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