Schiavi dell’artista

25 Giugno 2010 di Alvaro Delmo

di Alvaro Delmo

“Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore… un giocatore, lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”. Correva il 1980 quando Francesco De Gregori regalò all’Italia questa piccola perla di saggezza calcistica e di vita. Di calci di rigore in questo sciagurato, per i colori italiani, Mondiale di calcio (specifichiamo calcio perché sì, esistono anche altri sport) ce n’è stato uno solo ma averlo segnato senza paura ha confermato che il giudizio di un giocatore deve andare ben oltre il tiro dal dischetto. Intendiamoci: non siamo qui per criticare un singolo giocatore ma tutto l’insieme di una squadra a nostro giudizio nata sbagliata, costruita con i presupposti sbagliati e alla quale mancava semplicemente e soprattutto quell’elemento che, insieme alla dea bendata, ti può far vincere la partita che avresti perso: la fantasia e il coraggio di rischiare.
Se c’è un grosso torto di Marcello Lippi è stato quello di non puntare, come la maggior parte delle compagini che stiamo vedendo al Mondiale hanno invece fatto, sulla imprevedibilità che distingue un giocatore “di categoria” dal giocatore “di livello”, anche a costo di sbagliare la giocata. A cominciare dalle convocazioni (anche noi siamo tra quelli che evocavano già qualche mese fa gli ormai ipercitati Balotelli e Cassano) fino alla scelta inspiegabile di lasciare fuori Quagliarella nelle prime due gare e mezzo per poi buttarlo nella mischia per pura disperazione di masiniana memoria  di chi decide ma anche di chi guarda se il calcio può essere paragonato a un grande amore. Al di là dell’imprevedibile infortunio di Pirlo, che a mezzo servizio contro la Slovacchia ha dimostrato come il giocatore al 50% che sa giocare sia sempre meglio di quello al 100% che semplicemente gioca.
Enrico Ruggeri nel 1997 descriveva così il prototipo dell’uomo che è mancato a questa nazionale : “Io sono quello da guardare quando ha voglia di giocare sono schiavo dell’artista che c’è in me… faccio quello che vorreste fare voi… datemi quest’ora di attenzione poi correte a festeggiarmi”. Ecco, nessuno ci toglierà mai dalla mente che chi è rimasto a casa (o per troppo tempo in panchina) non sarà stato un fenomeno ma avrebbe fatto festeggiare un po’ di più gli italiani. Perlomeno per qualche giorno. Insomma, come cantava Renato Zero nel 1980 , “Fortuna, è ridere ancora, mentre tu, te ne vai…”. Ma se non la si aiuta nemmeno è proprio dura vincere. Non c’è mica sempre un Materazzi riserva designata che ti rimette inaspettatamente in piedi le partite.
Alvaro Delmo
(in esclusiva per Indiscreto)

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