Schiave bianche – Violenza in Amazzonia

16 Settembre 2021 di Stefano Olivari

Esiste un genere cinematografico più estremo del cannibal-movie? Sicuramente sì, ma non riguarda film commercializzati attraverso i normali circuiti. Eppure questa ennesima invenzione del genio italiano ha avuto un certo successo negli anni Settanta, scatenando grandi polemiche per violenze e atrocità varie contro persone e animali, a livello snuff. Schiave bianche – Violenza in Amazzonia è uno dei titoli più famosi di questo filone, anche se chiunque l’abbia guardato più di una volta (noi fra questi) può confermare che di scene di cannibalismo non ce ne sono.

Il film di Mario Gariazzo, in arte Roy Garrett (già l’americanizzazione del nome ci fa respirare cinema di genere), è del 1985, quando il cannibal, che aveva come maestro Ruggero Deodato, era già stato sepolto non dalle polemiche degli anni prima (Cannibal Holocaust, che qui in più punti è citato, è insostenibile anche nella versione censurata) ma dall’indifferenza del pubblico. Però è un film da cui è difficile staccarsi e lo consigliamo per notti insonni come le nostre, per arrivare in qualche modo fino a quando l’AMSA porta via i vetri mentre stagisti in un sito di debunking tornano fischiettando nei monolocali pagati dai colpevoli genitori.

La trama è semplice e con spezzoni di un fintissimo documentario gioca sul fatto di narrare una storia vera, cosa che non è: Catherine Miles, studentessa inglese, va in Amazzonia a trovare i genitori, che lì hanno un’immensa proprietà, e durante una gita in barca sull’Orinoco tutti tranne lei vengono ammazzati dagli indios, o così si suppone. Una tribù comunque non di cannibali, che rende insensato il titolo. La ragazza viene presa prigioniera ed è costretta a vivere nel loro villaggio, dove per sua fortuna viene protetta da Umukai, il più forte dei guerrieri locali, innamorato di lei.

Violenze varie, (quasi) mai riguardanti Catherine che nonostante l’orrore per le teste dei genitori che ogni giorno vede penzolare da una capanna si sforza di comprendere i costumi locali ed in parte ci riesce. Anche se la sua caratteristica principale è quella di essere interpretata dalla bellissima, meravigliosa, indimenticabile Elvire Audray, per il 99% di noi per sempre la Francoise di Vado a vivere da solo. Vita purtroppo breve, la sua.

Alla fine Schiave bianche ha niente di cannibalistico e ben poco di erotico, come suggerirebbe il titolo. E anche meno violenza rispetto agli altri film di quel filone difficile da spiegare anche nella prospettiva, che non è la nostra, di chi rivaluta tutto. Però ha un suo fascino morboso, che lo pone su un piano superiore a tante opere senz’anima.

Share this article