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Basket

La sceneggiata di Kobe Bryant

Oscar Eleni 17/03/2014

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Oscar Eleni davanti alla chiesa varesina di San Vittore martire, ascoltando le voci di Piazza del Podestà, aspettando che esca dal presbiterio di matrice bramantesca il feretro di Giancarlo Gualco scortato dai “ragazzi” della sua grandissima pallacanestro Varese vissuta nello splendore della famiglia Borghi, poi in quello dei Bulgheroni. Canto infelice di chi ha visto scomparire nel giro di poco tempo tre uomini che hanno fatto la storia vera del basket  varesino, ma anche italiano con la Robur et Fides: il cavalier Trombetta, Gianni Asti e, adesso, Giancarlo Gualco. Occhi lucidi per chi aveva viaggiato tanto insieme a lui: da Meneghin a Ossola, da Lucarelli a Zanatta, da Dodo Rusconi a Mottini, da Carraria a Caneva, da Paolo Vittori a Flaborea, dal Galleani a tutta la grande famiglia varesina dei Consonni, dei Guido Carlo Gatti che ha scelto il colle di Sant’Ambrogio per i suoi nuovi sogni dopo aver lasciato l’Umbria. Aspettando l’uomo con la mano de deus, si vantava il giocatore Gualco di quel suo mignolo storpiato da un pallone passato in maniera incivile come capita troppo spesso nel basket di oggi, della fortuna quando sceglieva il gioco, i cavalli, gli uomini. Nell’attesa il mugugno del Dodo Rusconi (allena i ragazzi ad Albizzate: bello per i ragazi, ma si può avere uno del genere confinato così lontano?) sul basket che non riesce a più a guardare, del Lucarelli che davanti a Sandro Gamba, bastone al vento nel ricordo, ben appoggiato su bellissime scarpe fatte con plantari per farlo camminare nel suo mondo senza vederlo con il nostro pessimismo, l’uomo della grande Milano  che Gualco ha dovuto imporre  dopo la grande epopea col professor Nikolic, aiutandolo nell’approccio, sostendendolo quando c’era tempesta come a Belgrado, in disparte nei molti momenti di vittoria e gloria.

A Gualco avremmo spiegato a capo chino,  come  il Giacobbe rimproverato da Lazzaro nella chiesa, che le cose hanno preso la strada che ci aspettavamo tutti dopo l’estate dove Siena ha smantellato l’impero e Milano ha preso generali e capitani di ventura dal posto dove erano stati educati a pensare in grande già agli allenamenti, diventando la numero uno senza discussioni nel panorama che torna ad essere come quello di Volterra dove il tronco che sosteneva i rami del successo e della vita, vedendo la frana, è andato verso la valle, promosso nell’immaginario collettivo  ad albero sciatore. Non ci sono dubbi su chi vincerà questo scudetto e lo diciamo dopo aver visto Drake Diener segnare 44 punti per questa Sassari che è bellissima da vedere, ma sembra una di quelle praline che fanno gli artigiani del gelato: te  le gusti in un attimo e poi ? Certo hanno vinto la coppa Italia, ma sono fuori dalla seconda coppa europea battuti dall’Alba Berlino e vedendoli soffrire una Venezia incompleta non pensiamo che l’Emporio offrirà altre guance in futuro. Lo pensiamo anche dopo aver studiato meglio la  squadra sana e a sua immagine che Sacripanti ha messo in piedi a Cantù dove con meno soldi hanno  costruito un gruppo che assomiglia più di quelli eccellenti, visti nell’era Trinchieri, al gruppo dell’era del sciur Aldo, quando Marzorati era il diacono di una chiesa da messe solenni, ma anche da preghiere in piazza e non certo il giocatore di golf che abbiamo incontrato a Milano mentre andava verso il “green”  senza pentimenti per aver bigiato il Basket day, separato da Petrucci per troppe cose, lui parla anche di una dignità calpestata dal sindaco del Circeo, amareggiato soltanto per aver deluso i suoi ex compagni dell’oro di Nantes.

Il Pino conosce la storia e i trucchi, il lavoro e l’arte, ma Milano ha di tutto e anche di più e se dovesse arrivare alle finali di eurolega del Forum l’autostima porterebbe via dal cloro del Lido tutti i veleni. Curiosa la storia di Proli e Portaluppi che si trovano finalmente dalla parte giusta del fiume avendo contro quel gruppo che, amaramente, avrà constatato, ma è sempre stato così prima che il mito ultras invadesse tutto come la musica demenziale, di non essere poi così importante per i successi dell’Olimpia. Come diceva un grande capitano, il professor Gianfranco Pieri quando noi giovani assatanati ci vantavamo di dare colore e splendore al Palalido più che alla Fiera, il giocatore vero in campo si accorge dell’atmosfera  soltanto quando entra per il riscaldamento, ma appena comincia la partita quelli giusti non hanno bisogno di sentire altro che la musica del coro studiata con fatica negli allenamenti. Da quando i visitatori degli allenamenti di Banchi hanno fatto sapere che nella secondaria del  Lido se le danno, ma sorridono, se le danno, ma per vincere non per polemizzare, abbiamo capito che non ci sarà storia, ma era già scritto il giorno in cui è diventata la difesa il vangelo per una squadra di basket che non dovrà mai più sentirsi diciassettesima azienda Armani. Non perderanno più? Questo no, perché l’anima scorpiona esiste sempre, ma in Italia chi può sfidarli in un playoff?

Siamo anche noi nel partito di quelli che restano sbalorditi davanti alle commissioni federali che inseguono chi ha conti trasparenti e tacciono sul resto. Insomma siamo con la signora Arancia Estella che  si è ribellata trovando uno scarafaggio dentro la minestra messicana in un ristorante di New York , siamo dalla sua parte quando ha mandato al diavolo il proprietario che con la faccia da dirigente gli ha detto “che non era un grande probelma” perché la zuppa  si poteva buttare via. Eh no.

Non abbiamo ancora capito se l’uscita di Ferdinando Minucci ha meritato l’onore delle armi dei tanti che hanno lavorato con lui, perdendo contro di lui, viaggiando insieme a lui, oppure se dobbiamo preparaci alla piazza Loreto del sistema che sembra aspettare con ansia l’intervento del potere giudiziario statale adesso che la città ha girato le spalle all’uomo dell’Istrice che per molti è già in esilio a Chiusdino. Come sempre vogliono obbligarti a cancellare la memoria come si fa sul computer. Impossibile. Nel male e nel bene c’è stata vita, grandezza, spendore  in mezzo a tante miserie. Sul carro dei vincitori si sta meglio, ma questa corsa verso altre spiagge, sputando sul resto, ci ha sempre infastidito, come quando erano “ladroni” altri padroni del vapore, dal triangolo delle bermude lombardo di Milano-Varese-Cantù, dalla Virtus aurea  lasciata in eredità con il diamnate Messina da Porelli a Cazzola. Il nero dei bilanci è stato leggenda e motivo di conflitto per tantissimo tempo come potrebbe testimoniare Buzzavo che ha gestito Treviso e sentiva arrivare il vento  da lontano, preoccupato che tutto saltasse in aria. Lo diceva Porelli, lo denunciava Allievi, lo ha pensato spesso Toto Bulgheroni, se ne lamentavano tutti quando Acciari difendeva il Bianchini lasciato in eredità a Sama e ai Gardini, un cerino che passerà di mano in mano, almeno fino a quando le famose commissioni federali non diventeranno trasparenti e  ci diranno la verità prima che tutto diventi cancrena.

Prima delle pagelle buttiamo via un altro scarafaggio perché nel raduno romano dei “prospetti” per Azzurra Tenera all’Acqua Acetosa c’erano tante facce tristi, cominciando dal vice Dalmonte che ha preso un similventello al Forum con Roma, senza pensare che Artiglio Caja  sia più allegro anche se ha segnato oltre 100 punti a Bari contro l’ultima di un campionato dove Firenze, la sua  squadra, è purtroppo penultima. Ma uno come lui non può adattarsi al pianeta senza acqua. Più sereno, certo il volto di Pianigiani e Cuzzolin la coppia dorata del nostro basket che viaggia sempre spalla a spalla come gli irlandesi il giorno di San Patrizio, attenta all’immagine, ma, speriamo, anche attenta alla sostanza delle cose e del lavoro. Musi lunghi all’Acqua Acetosa cominciando dallo Stefano Gentile da 0 su 10 nella giornata dove i “fratelli” genericamente catalogati da un bel serevizio su SW, molto lo capisci già dalla fotografia, dove  la verità su certi caratteri emerge benissimo, come del resto l’origine di ogni altra cosa, non sono andati tutti benissimo, ma è nella tradizione quando hai copertine e super esposizione mediatica.

10 Al MENETTI che ha portato una squadra italiana  alla finale europea. Certo è la terza coppa, ma se voi aveste frequentato il bigio palazzo reggiano e aveste ascoltato cosa dicevano certi “sapientoni della pro loco cestistica” di questo argonauta friulano ora sareste lungo la strada dove sta passando la sua squadra con in testa il Cervi che buttano giù dagli aerei, ma che  si prende belle rivincite anche se a Bologna piangono per quel tiro libero che ha tenuto la Virtus dove stanno tante troppe cose della città che sportivamente sembra attratta dal palcoscenico minore nel calcio e nel basket dove imperano i cugini ultras sposati al gruppo anti Morandi e allo Juventus Stadium senza decoro anti moglie di Scirea, aspettando il convegno a Milano, per bruciare  chi li aveva visti sbavare per un capriccio.

9 Alla PISTOIA felice che si gode un trionfo su Siena aspettato per tanto tempo. Certo la corsa per scegliere l’allenatore dell’anno si sta facendo durissima perché con Moretti teniamo sempre aperto il canale Recalcati e poi se davvero Banchi poterà Milano alle final four, sapendo da dove è partito e con chi è partito al suo fianco, be’, ci sarebbe da discutere. Fuori Sacchetti e Sacripanti? Non si può fare come quel collega alla Gazzetta che dava ragione a tutti e poi tradiva tutti.

8 Al Bruno CERELLA che ha riportato nell’arena dove gioca il basket milanese lo spirito indiano degli uomini che potevano esaltare una Banda Bassotti, fare da gregari dorati di campioni meravigliosi, badate che Meneghin era più cerelliano che artiste. Pensate che certe squadre sono andate bene perché onoravano gli Stonerook e i Bariviera più dei grandi realizzatori. Vale per tutti e gli allenatori veri lo sanno.

7 Al VESCOVI uscito con la Varese giustamente in lutto nel ricordo di Gualco (cara Lega, silenzio su tutto?) dalla trappola retrocessione dove, invece, è rimasto intrappolato il Villata virtussino. Lui aveva portato la squadra a San Patrignano per far capire a certa gente dove stanno la vera sofferenza e la voglia di riscatto, ma forse doveva tenersi anche i Cerella prima di  scoprire che a certe cifre non si vive bene neppure in provincia. A Renato non è ancora stato possibile fare questa verifica, già il fatto che voglia mangiarsi certi cicisbei è buon segno, ma prima salvare almeno la dignità e la classifica, non far volare stracci a caso.

6 Al NIC MELLI che davvero cammina  su una strada diversa rispetto a tanti suoi  venerati compagni. Certo anche lui ha cali di zucchero e umori che cambiano, ma se certe cose fuinzionano vuol dire che chi sta lavorando con lui, dal nobile preparatore atletico all’allenatore cinghiale, non lascia mai passare un giorno ricordando: poco eri, poco puoi tornare se pensi soltanto ai broccati e mai alla cera da spalmare.

5 All’ADRIANO GALLIANI che cerca rifugio nel suo amato basket scappando da San Siro dove il suo amato Milan era assediato dai generali che, probabilmente, influenzano anche la curva della palla ala cesto al Forum. Doveva chiedere  ospitalità al basket molto prima e di sicuro un posto per guidare la nuova Lega glielo avremmo trovato. Sarebbe stato un cambiamento, ma può sempre essere utile se chi governa ha l’umiltà di viaggiare anche in altri mondi.

4 A Kobe BRYANT non tanto per aver sempre interpretato il tipo di giocatore che mai avremmo scelto per una squadra del cuore, ma questo è un legame allo stile Larry Bird che ci riporta ai guerrieri delle notti nello sport quando si omaggiano le stelle e si dimentica che per ogni grande Rivera c’è sempre stato un grandissimo Lodetti, ma per questa sceneggiata da Maramaldo sul D’Antoni da cacciare. Magari lo merita pure, ma soltanto per non aver detto in faccia a certi giocatori quello che Jackson sicuramente ha  fatto ai tempi di Jordan e Pippen, di Kobe e Shaq. Aspettamo Arsenio in Europa per ridargli fiducia nel lavoro che interpreta come il nostro caro Sacchetti, con tutti dolori del caso quando le difese diventano finte.

3 A Pierluigi MARZORATI che adesso preferisce ail golf al basket. Preghiamo il vicepresidente della federazione Toto Bulgheroni di farlo ragionare, anche se pure lui pensa che si stia meglio sul green che in un palazzotto. Anche se rischi d’incontrare gente con meno entusiasmo del Pea o del Buzzavo.

2 Al mondo VIRTUS BOLOGNA dove tutti si arrabbiano quando le vacche sono già fuggite. L’abilità sta nel capire prima cosa può succedere, il valore non si scopre facendo i pesci in barile, il dirigente virtuoso che scarica tutte le colpe sugli altri. Eh no. Barca a fondo con il gruppo dirigenti al completo, considerando che per qualcuno di loro ci sono anche prove a discarico e precedenti glorie, ma per altri lo zero assoluto ovunque abbiano predicato.

1 Al VITUCCI rimasto preso nelle reti della crisi di Avellino nello stesso momento in cui eravamo sicuro che fosse, la sua, una squadra con mine incorporate per spaventare chi era già sicuro del posto nei play off.

0 ALLE DIFESE finte che ci propongono in troppi perché anche se il Pianigiani predica bene bisogna pensare che in giro fingano  di ascoltarlo. ALLE PRESE MOLLI di troppe squadre che appena sentono di avere la partita in mano cominciano a lasciarsi andare fino alla grande vergogna, alla grande rimonta, alla grande crisi. Questa è la mentalità di uno sport dove alla fatica si preferiscono, sempre, la vetrina e la passerella, la crema pasticciera allo scarafaggio nella minestra da individuare prima di ingoiarlo.

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