Sanremo 2022, pagelle senza canzoni

6 Febbraio 2022 di Stefano Olivari

Secondo il luogo comune del Festival di Sanremo interessa tutto tranne le canzoni, ma al contrario di tanti luoghi comuni questo non è fondato perché se pensiamo ad una qualsiasi edizione del passato ci vengono in mente le migliori canzoni e non le polemiche legate a ospiti e conduttori. Le pagelle al contorno hanno quindi senso soltanto nel presente, perché fra poche settimane ci saremo dimenticati della recitazione zoppicante di una valletta o di quali fiction RAI hanno beneficiato di una marchetta. Ecco quindi, dopo cinque serate/notti da spettatori appassionati, senza snobismo da secondo livello di lettura, le nostre pagelle al Festival di Sanremo 2022 con esclusione delle 25 canzoni in gara.

FERILLI 10 – Il suo ‘non monologo’ è stato una delle parti migliori del Festival, per quanto l’invito a non confondere la leggerezza con la superficialità sia già stato molto sfruttato: ma che cosa è originale, ormai? Splendida nella parte della scazzata che le ha viste tutte, il Festival potrebbe anche condurlo senza bisogno di autori.

MEDUZA 9 – Impressionante la distanza fra il loro successo, reale, nel mondo e la scarsa conoscenza che gli addetti ai lavori (e noi certo non lo siamo) hanno di loro, come si è notato in molti articoli. Noi troppo vecchi per frequentare club e discoteche, ma in auto su strade extraurbane sono imprescindibili: gli italiani la dance la sanno davvero fare, loro fra l’altro anche musicisti e non soltanto smanettoni. Notevole la canzone fatta con Hozier.

MÅNESKIN 8 – Devono molto a Sanremo e hanno giustamente ringraziato, oltre che con due canzoni anche con un siparietto superfluo ma meno peggio di altri. Nei loro confronti il rosicamento ha raggiunto livelli stellari, eppure un manager e una casa discografica ce li hanno quasi tutti.

AMADEUS 7 – Per trovare uno share televisivo medio più alto del 58% del 2022 bisogna risalire al 1997, con la conduzione di Mike Bongiorno e un mondo molto diverso, si pensi soltanto allo streaming che oggi consente di seguire soltanto ciò che interessa. Una sua vittoria l’abolizione delle categorie, di sicuro nella sua testa anni Ottanta, da Radio Deejay e Festivalbar, fra Cecchetto e Salvetti, sarebbero da abolire anche i pippotti moraleggianti e colpevolizzanti, oltretutto mal recitati. Non ci sono motivi per cui debba lasciare.

SAVIANO 6 – Meno guru del solito e senza la pretesa di rivelare chissà che cosa, un utile ripasso per chi ha vagamente sentito nominare Falcone e Bosrsellino e mai Terranova e Chinnici, per non dire di Rita Atria. Non c’entra niente con il Festival, ma a qualcosa è servito.

ORNELLA MUTI 5 – A quale autore per criticare il sessismo è venuto in mente di mandare sul palco una donna di 67 anni per far dire al canottierato ruttante a casa “È figa come  trent’anni fa”? Certo lei si è prestata, aggravando la situazione con la solita rassegna di grandi registi, grandi attori, grandi uomini con cui ha lavorato.

CHECCO ZALONE 4 – Peggio lui o i politici twittatori, soprattutto di destra, che si sono esaltati per come sappia rappresentare la pancia del paese? I secondi. Fra l’altro Zalone non ha avuto le palle, è il caso di dirlo, di applicare il suo politicamente scorretto all’ideologia LGBTQ+ eccetera: cosa che in RAI sarebbe veramente eversiva, facendo anche soltanto una veloce statistica su dirigenti, conduttori e autori. Strepitoso però ‘Poco ricco’, presa per il culo dei rapper che si inventano un’infanzia difficile (nel mondo dello spettacolo la percentuale di vittime di bullismo è vicina al 91%). Zalone può essere criticato, ma è uno dei pochi comici che ogni tanto, raramente, faccia ridere.

MATTARELLA 3 – La telefonata ad Amadeus potrebbe aver annunciato un secondo settennato in modalità Pertini, pieno di bambine del genere ‘Grazie presidente’.

LORENA CESARINI 2 – Due punti in più di quanto meriti, in modo da non passare per razzisti e/o sessisti: spesso all’Ariston è stata ospite la retorica colpevolizzante, ma raramente è stata recitata così male (da un’attrice, poi). Classico caso di chi lascia indifferente il razzista e fa cambiare canale chi non lo è.

FIORELLO 1 – L’attesa messianica dell’arrivo di Fiorello è per lo spettacolo ormai meglio di Fiorello stesso, a meno che lui canti o trovi uno spunto di cazzeggio (infatti il momento migliore è stato quello con Berrettini). Al prossimo giro o conduttore o niente.

RAOUL BOVA 0 – La sua terribile presentazione di Don Massimo, che prenderà il posto di Terence Hill come protagonista in Don Matteo 13, dice molto sull’idea, purtroppo corretta, che Rai 1 ha del suo pubblico.

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