SanPa su Netflix, paura di Muccioli

22 Gennaio 2021 di Stefano Olivari

SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano, che abbiamo guardato con un certo disgusto su Netflix, si sarebbe potuto tranquillamente intitolare SanPa – Tenebre di San Patrignano e di Vincenzo Muccioli, visto che le cinque puntate del documentario di Cosima Spender, prodotto da Gianluca Neri, sono nella sostanza un monocorde atto d’accusa nei confronti del fondatore della comunità di recupero per tossicodipendenti, in particolare eroinomani. Equilibrate le interviste pro Muccioli (il figlio Andrea, il medico di San Patrignano, Red Ronnie) e quelle contro (l’ex autista Walter Delogu, l’ex addetto stampa Fabio Cantelli, il figlio di Roberto Maranzano), ma unica la tesi degli autori: sì, va bene, San Patrignano avrà anche salvato qualche migliaio di vite, ve lo concediamo, ma i metodi usati erano sempre inaccettabili e a volte, come nel caso Maranzano, criminali.

Il peccato originale di Muccioli, a oltre 25 anni dalla morte, rimane quello ideologico: senza essere legato a partiti (ma dalla sua parte era schierato il PSI di Craxi) né alla Chiesa, e soprattutto senza mendicare i loro soldi, si era messo in testa di dare un senso alla sua vita di piccolo imprenditore romagnolo, fino alla fine degli anni Settanta senza particolari successi, recuperando quelle degli altri. E quale era all’epoca il principale problema dei giovani di varia estrazione sociale? L’eroina, diffusa in tutta Italia al punto che chiunque sia stato all’epoca almeno bambino conosce come minimo un vicino di casa o un compagno di scuola che ne abbia fatto uso. Il metodo, del tutto improvvisato ma con una sua logica, di Muccioli, era quello del lavoro e della coercizione: da San Patrignano, in origine sede della sua azienda agricola, non si poteva scappare.

Insomma, anche i suoi estimatori a volte rimanevano esterrefatti per i metodi autoritari e per alcune pose da santone. Ma il vero problema con Muccioli non era nemmeno questo, quanto il fatto che il successo della sua comunità fosse un atto d’accusa contro il pietismo del mondo cattolico e contro il metadone di stato, amato dalla sinistra, che non aveva bisogno di catene ma trasformava i drogati in zombie già più di quanto non fossero. La triste verità è che non c’è una ricetta applicabile a tutti, visto che all’eroina si arriva da strade diverse, ed alla fine l’unica costante degli eroinomani era quella di distruggere le vite anche delle loro famiglie. Una madre a noi molto cara dopo anni di botte ci confessò di augurarsi la morte del figlio.

Le due grandi caratteristiche di SanPa, confermate da chiunque ci abbia avuto a che fare, erano la gratuità (Muccioli era abile nel coinvolgere grandi finanziatori, su tutti Gianmarco e Letizia Moratti) ed il fatto di prendere in carico chiunque, avendo posto per accoglierlo, anche i casi peggiori sotto il profilo delinquenziale, cosa che quasi nessun’altra comunità fa. Per questo è difficile ancora oggi parlare serenamente di San Patrignano e questo documentario lo dimostra: un’esperienza laica e quasi eversiva, in cui Muccioli si poneva come figura paterna, delegando ad ex tossici i vari settori dell’azienda, con tutti i rischi del caso perché, ripetiamo, a SanPa arrivava il peggio del peggio del peggio. A proposito, Delogu (padre della conduttrice televisiva Andrea) in SanPa viene narrativamente considerato una specie di oracolo, quando invece è stato condannato per estorsione ai danni di Muccioli. Lo stesso Cantelli, con pose da pseudo-intellettuale tormentato, solo in una frase o due fa cenno al fatto di essere stato salvato da Muccioli ben due volte.

In definitiva un documentario che in 5 ore non spiega tante cose importanti, dai successi di San Patrignano in tanti campi (l’agricoltura, l’allevamento, l’equitazione, il vino), al suo essere sopravvissuto molto bene al fondatore, per non dire delle migliaia di persone ancora vive, e che si chiude con autentica spazzatura, buttando lì per Muccioli sospetti di omosessualità e di essere morto di AIDS, come se fossero colpe o comunque notizie indicanti un personaggio losco. Gran parte del materiale arriva dagli archivi RAI e si capisce come mai la tivù di Stato questo documentario non l’abbia prodotto direttamente: il caso Muccioli è politica allo stato puro, nel senso più nobile dell’espressione sia per gli estimatori sia per i detrattori. Di sicuro Netflix non è uscita dai soliti suoi binari del politicamente corretto. Muccioli fa ancora paura e non per le catene.

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