Rugby promosso e retrocesso

19 Settembre 2013 di Igor Vazzaz

Fanno sensazione i recenti annunci relativi all’acquisizione, da parte di due emittenti post-generaliste, dei diritti di trasmissione in chiaro di Sei Nazioni e Celtic League. Il rugby, che da svariati anni ha incontrato in Italia un’inattesa (e non sempre corroborata dai risultati sul campo) attenzione mediatica ritorna in chiaro, dopo una breve, e adesso possiamo dire velleitaria, adozione sui canali a pagamento. L’interrogativo sollevato da questo nuovo assetto ruota sempre intorno al medesimo punto: riuscirà la palla ovale a “sfondare” davvero anche in Italia?

Sei Nazioni in chiaro su DMAX(canale 52 del digitale terrestre e 28 di Tv Sat) e RaboDirect Pro12 (ma, per noi, resterà sempre Celtic League) sulle frequenze, anch’esse gratuite, di Mediaset Italia 2. Doppio annuncio (…) che non ha mancato di prendere in contropiede gran parte del mondo sportivo e informativo italiano. Il maggior torneo continentale, che l’Italia disputa dal 2000 (quando, cioè, da Cinque Nazioni, si trasformò in Sei proprio per accogliere nell’eccellenza europea gli azzurri guidati allora da Brad Johnstone in panchina e Diego Dominguez in campo), torna a essere trasmesso in chiaro e, quindi, teoricamente visibile a un pubblico più ampio e generalista possibile.  DMAX è un’emittente nuova, che punta forte su un bacino d’utenza giovane, prevalentemente maschile (ma non si trascuri, specialmente per il rugby, il fascino esercitato dall’ovale sul pubblico in rosa), intraprendente e mobile. Del resto, una curiosa connessione rugbistica, il canale l’ha già messa in campo nell’estate che si sta concludendo, grazie a uno dei suoi volti più noti, ossia quello Chef Rubio che con l’originale format di Unti e bisunti, oltre a viaggiare per le città italiane in cerca di lipidico street food, non nasconde certo l’ascendenza sportiva che lo ha visto trequarti di buon livello, con svariate presenze nel campionato di Eccellenza.

Apparecchiamoci, dunque, a seguire sull’arrembante nuova sigla della tv italiana le gesta europee di Parisse e compagni (i test match autunnali dovrebbero essere, invece, ancora trasmessi da Sky), benché la domanda sorga spontanea: questo ritorno in chiaro è un passo avanti per il rugby nazionale? In assenza di dati sensibili (leggasi: il prezzo con cui sono stati venduti i diritti dalla Six Nations Rugby Ltd non sono ancora stati resi noti), possiamo azzardare una riflessione di tipo mediatico-sportivo. Se è vero, da un lato, che lo sport in chiaro ha da sempre garantito un certo successo e la capacità alle varie discipline d’incidersi nel fatidico immaginario collettivo (così come l’eclissi sulle reti a pagamento: pensiamo a quanto, in termini di visibilità, abbia perduto il tennis dell’era Federer rispetto al successo totale di quello degli anni Ottanta), è pure innegabile come il panorama attuale sia del tutto differente rispetto a quello anche di soli cinque anni fa. Il tramonto definitivo delle reti generaliste, seguite da tutti e in grado di fare davvero tendenza rispetto a un pubblico affezionato e fedele, rappresenta uno dei principali avvenimenti del moderno assetto mediatico, che ancora dobbiamo assimilare e capire. Non è escluso, per esempio, che il ritorno in chiaro del Sei Nazioni rappresenti una sorta di “retrocessione”, un relegare un torneo così bello e così rappresentativo della sua disciplina (inutile notare quanto poco successo raccolgano Celtic League, con due franchigie italiane, e campionato di Eccellenza, specialmente rispetto ad altri sport di squadra per certi versi mediaticamente inferiori al rugby) nella “riserva indiana” di un canale dinamico, bello e interessante, ma, forse, incapace di attirare attenzione e imporsi come quarto polo televisivo italiano. L’augurio è, ovviamente, che l’operazione fortemente voluta dalla gestione di Marinella Soldi, amministratore delegato di Discovery Italia (la società che gestisce la rete) abbia successo, ma, francamente, i dubbi appena esposti hanno, per ora, un’innegabile ragione d’essere.

Discorso più facile, in qualche modo, per la Celtic su Italia 2: il torneo, di certo interessantissimo, deve ancora fare strada per guadagnarsi riconoscibilità da parte del pubblico italiano. La strada non è facile e, forse, neppure un (per ora improbabile) successo da parte di una delle due compagini italiane riuscirebbe a garantire quel risultato che, da anni, la Federugby si augura. Prendiamo il caso del volley, disciplina ormai “storica” del nostro sport, con alle spalle venticinque anni di successi a livello sia di nazionale sia di club: quanti italiani sanno che le ultime cinque edizioni della Champions League europea maschile hanno visto per quattro volte un’italiana in finale, con tre vittorie (tutte targate Trentino Volley)? Pochi, rispondiamo noi, fidandoci del buon senso e della capacità d’osservazione mediatica di cui ci riteniamo dotati. Si può ribattere che il rugby si trova in tutt’altra situazione, che l’appeal mediatico (dovuto anche e soprattutto alla capacità di attirare sponsor) dell’ovale è ancora in ascesa e che il traino di una nazionale così ben vista come quella guidata da Brunel, in proporzione assai più reclamizzata da quella che coach Pianigiani sta conducendo con risultati imprevedibili agli Europei di basket in Slovenia in questi giorni, potrebbe assicurare un successo imprevedibile al buon vecchio rugger, ma, anche in questo caso, ci sentiremmo di frenare i facili entusiasmi, sperando, ovviamente, che la realtà possa smentirci.

Samuel Clementi e Igor Vazzaz (per gentile concessione degli autori, fonte: Reloco Sport)

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