Rimini per noi

9 Marzo 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni sul pattino invisibile che ci fa vivere a distanza, nel mare di Rimini, città del ritmo e della golosità esistenziale di Amarcord, la fiesta del basket “minore”, insomma quello con più italiani, quello dove gli allenatori non devono sempre strangolarsi con l’inglese da sbarco nelle varie Normandie italiche senza palazzi adeguati. 30.000 sembrano niente se al ponte di Tiberio, per Capodanno, sono andati in 130.000 a godersi la musica, ma comunque sempre il doppio del falso dichiarato per le presenze a Desio dove si muovevano le ombre cinesi di chi può inventarsi di tutto, sarà sempre musica stonata perché mai nata dal cuore. Rimini per loro, quelli che ancora pensano basket come sognava Piero Parisini nei giorni dove faceva più freddo. È stata senza dubbio più bella della desolante settimana al piano superiore, quello dove dovrebbero avere tutti i servizi, ma poi li usano soltanto lorsignori e sghignazzano se tu sei costretto ad evacuare nella turca. Basta credere nelle cose, lavorare insieme, poi sopporti anche arbitraggi come quelli che hanno portato Verona prima in semifinale e poi alla coppa Italia.

La settimana dei calci in bocca europei continuerà fino al venerdì milanese, meglio di Assago, per l’abbraccio a Mike D’Antoni. Era l’uomo che interpretava meglio la voglia di vincere di quel gruppo, non tutti fenomeni o bravi ragazzi, soprattutto i passanti venuti da molto lontano, ma tenuti insieme da un’idea che dovrebbe suggerire qualcosa ai pavoni di oggi della nostra serie A come asinina tosse da vanagloria: sopportavano ogni difetto del compagno seduto in spogliatoio, ma non accettavano, mai, di andare in campo senza pensare che la vittoria fosse tutto. Molto più della gloria personale. Venerdì sera ci alzeremo in piedi per Arsenio, ma in quell’applauso ci sarà il giusto ricordo di un gruppo che ha davvero costruito, senza tirarsela troppo, senza raccontare in giro di aver inventato l’acqua calda, la seconda età dell’oro del basket milanese. La prima fu quella di Bogoncelli e Rubini. La seconda quella di PetersonCappellari e Gabetti. Ora, a parte i grandi assenti, venerati nelle catacombe, se non ci fosse stato il CONI di Rubini se ne sarebbero sbattuti là dove sbavano per una inquadratura, possibilmente in piano americano, salvo il nano ghiacciato Peterson che resiste a tutto, spesso anche a se stesso nel suo glorioso egoismo, per gli altri non c’è neppure una tessera omaggio, un posto privilegiato come fanno, ad esempio, in America, in Spagna, nei paesi della ex Jugoslavia. Ehi ma qui si fanno affari. Appunto. I risultati si vedono.

A Rimini è nata anche un’associazione per manager pensata da Cappellari e Bonamico. Sono due che hanno fatto cose importanti: in campo, ma anche fuori. Per questo, immaginiamo, sono sempre nei premi a perdere. Li nominano per farli decadere subito dopo o per farli diventare veleno. Tattica manigolda studiata a tavolino da chi ha fatto della poltica una vera professione. Pazienza. Ce li teniamo noi questi due zapateros che non accettano di fare esami, di andare da un medico. Tirano dritto. Si battono ancora.

Beati loro. Noi siamo sul pattino con una bella bandiera bianca a ricevere complimenti postumi per una citazione di D’Antoni sul Corsera. Ci è venuto in mente che forse qualcosa avevamo fatto anche prima di questa dichiarazione d’affetto strappata con le tenaglie. Ad esempio vedendo gli Euroindoor di atletica a Praga è scattata la trappola del rimpianto. Per gli europei estivi, faceva un freddo cane, di Praga 1978, quando allo stadio Rosickeho fratello Pietro (Mennea) e sorella Sara (la Simeoni) facevano diventare magico il telefono di bachelite, a manovella, che un geniale tecnico del Giornale era riuscito a far collegare direttamente con il grande stenografo Frigerio in via Negri a Milano. Rimpianto per giorni da vino e belle rose, quando il cittì di oggi, il Magnani ferrarese, ci tenne in vita con calze di lana, da corridore, lui era un maratoneta, punendo la nostra pigrizia e scarsa fiducia nel raid del magnifico Salvatore Massara ai grandi magazzini di regime da dove ritornò con uno splendido piumino rosso. Perché prendersela? Eppure se adesso qualcuno parla di Mennea, più che della Simeoni, cita chi ha trovato tutto già scritto e sofferto nei ritagli, riciclando il ricilabile.

Ma torniamo al basket che ha vissuto la giornata del vuoto: il vento ha tolto agibilità al campo già stretto di Pistoia; Milano e Cantù, per impegni europei, hanno rimandato tutto al 16 aprile. Sono andate in campo quelle che dovevano espiare. Varese lo ha fatto sposando nella stessa giornata la fortuna dell’interista Caja con quella di Mancini. Bastava poco e tutti e due si sarebbero trovati con qualche pomodoro sui capelli.

Stranissimo il compiacimento di Reggio Emilia per una resurrezione dal meno 50 contro Milano sfruttando la micragnosa Avellino mai squadra, come dice Vitucci, anche se spesso è quello che un allenatore dovrebbe dire prima di lasciare l’incarico.

Ci amareggia la situazione di Caserta e di Vincenzino Esposito a cui non è davvero bastato il conforto in tribuna di Nando Gentile, alla fine dell’anno sarà lui l’uomo di basket che, insieme al professor Carlà, ha visto più partite ed allenamenti. Situazione pesante, difficile. Se poi i proprietari non vanno d’accordo e il miglior giocatore si fa male allora sarà durissimo salvarsi. Delle rovine della Rometta in campionato abbiamo già detto. Un peccato davvero per chi lavora dentro e con la squadra, tutti eccellenti professionisti messi sul carretto alla rupe Tarpea da chi avrebbe dovuto rotolare giù molto tempo fa sfruttando la pendenza del lato meridionale al Campidoglio.

Pagelle per non pensare che questa sarà la settimana da vivere col fazzoletto in mano. Ti ricordi, eh quelli sì che erano bei tempi. Mah.

10 Al RAMAGLI che ha dato la Coppa Italia dei dilettanti alla Verona che con Bucci vinse quello dei professionisti 24 anni fa. Bravo a salvarsi in due partite sofferte con Torino e Ferentino, ma eccellente nel minuto di sospensione che doveva chiudere il supplementare in maniera meno drammatica del tempo regolamentare con canestro da 3 subito a 4” dal gong. Quando ha detto il non troppo educativo, ma chi se ne fotte in battatglia sportiva, tu “gli stacchi il collo” è venuta fuori la livornesità che spaventa, ma ci ricorda l’era del Boris, dei D’Alesio e della Portuale.

9 A FERENTINO e Franco Gramenzi che ci è piaciuto più del Bechi che con Torino aveva quasi affondato la corazzata veronese. Nella squadra ciociara c’era qualcosa che non abbiamo visto nella pur costosa squadra piemontese. Comunque sia belle finali, come atmosfera. Sul resto lasciamo spazio ai commentatori che vedono il bicchiere del basket italiano mezzo pieno, anche se poi a decidere le partite, anche qui, sono quasi sempre i grandi mori.

8 Al GRICCIOLI di Capo d’Orlando che nell’allegra brigata di Bernardi da Alice a Monza, aveva promesso di risvegliare una squadra tormentata da infortuni e non soltanto. Ci sta riuscendo, sembra salvo davvero e se ci pensate questo è un capolavoro che vale per uno del Nicchio, anche se, lo sapete, il contradaiolo al Palio preferirebbe l’ultimo al secondo posto.

7 Al TRIGARI che con Crespi ha raccontato le finali di Rimini. Una bella voce, una voce appassionata, anche se pure lui sta virando sulla radiocronaca che diventa fastidiosa come dice Grasso sul Corsera. Insomma delle televisioni nuove ci si sta quasi innamorando, quasi tutte. Bene la Gazzetta anche nei salotti. Bene SKY affittato a chi ci crede e non snobba. Benino Sportitalia dove più dell’opioninismo un tanto al chilo servirebbero servizi, non tanto costosi, sulla gente dentro il campo.

6 A Julian STONE, regista atipico di Venezia, perché esce bene da una partita dove non ha mai tirato, ma ha servito 7 assist, ha difeso, insomma giocato. Certo resta il problema vero di Recalcati quando intorno c’è mollezza di gruppo, ma se questo tiene allora qualcosa potrebbe inventare pure lui nel campionato che sa già di avere una finale Milano-Sassari a meno che la squadra di Sacchetti non resti con i piedi nella tagliola del quarto posto.

5 A LeBron JAMES, diventato il numero uno di Cleveland per assist, perché potrebbe smentire chi non credeva che un allenatore arrivato dall’Europa, anche se americano, potesse convincere El supremo a ricordarsi che non tutte le partite nascono con il buco del canestro come vasca e che vedere l’omaccione Mozgov è un pregio come segnare “da casa propria”, il famoso tiro degli orgasmi televisivi.

4 Alla FONDAZIONE pseudo calcistica che ha versato 900 mila euro al basket (Fip? Lega? Tutte e due?) e non si è fatto rilasciare la ricevuta sull’utilizzazione di questa bella cifra che aiuta il sistema delle multedemenziali dove già hanno molto denaro da smazzare se in aggiunta a tutto chi sta sotto prende una bastonata per l’insulto di due vecchi pensionati in serie C come per quello dei cori beceri in serie A con il risultato che fra i professionisti vanno avanti e i beceri li foraggiano pure, mentre nei campionati minori si tira giù la saracinesca.

3 Al MICROFONO APERTO sugli arbitri nei minuti di sospensione. Già sono insopportabili e quasi incomprensibili certi allenatori, figurarsi che contributo alla divulgazione e conoscenza possono dare tre persone che, sapendo di essere ascoltate fanno i super figones, scoprendo la difficoltà di stare dietro ad una partita che va a fiammate. Dai.

2 Al VALLI che sta facendo una bella stagione con la Virtus Bologna perché se alla vigilia di una trasferta difficile come quella contro la Reyer annunci di voler vedere la faccia truce della tua squadra, la vera forza del gruppo, poi devi riconoscere che hai in mano gente dalla manina tenera che deve lavorare duro e mai essere gratificata con i complimenti. Se poi cominciano le beghe per i rinnovi addio fichi.

1 Al JACKSON di Venezia perché, dopo averlo visto in coppa Italia e in altre partite perdute dalla Reyer, ci domandavamo se in Italia non ci fossero giocatori migliori di lui da andare a prendere in piena stagione. Adesso ha fatto un partitone contro la Virtus e diventerà un boomerang per la nostra coscienza, mai limpida, a prescindere, secondo l’esercito delle tenebre in malafede.

0 A Mike D’ANTONI, benedetto sia il suo nome e della squadra che lo ha fatto diventare un gigante in questo mare, perché ha mandato fuori giri quelli che non capivano i suoi insulti al televisore quando ha visto Caserta e Pesaro in diretta. Lui ricordava che quelle erano le grandi rivali di Milano, adesso ha dovuto prendere nota che forse una delle due andrà in una serie inferiore. Lui ululava davvero addolorato, ma nessuno lo capiva. Molti di noi sì.

 Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

Share this article