Basket

Ricominciamo da tre

Stefano Olivari 25/08/2008

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1. Mentre il torneo olimpico viaggiava verso la conclusione, la nazionale italiana si faceva infilzare prima dalla Serbia (in casa) e poi dall’Ungheria in trasferta compromettendo la strada verso gli Europei in Polonia del 2009. A questo punto serve una rimonta nella speranza di essere ripescata con le seconde migliori, altrimenti dovremo puntare al ripescaggio della prossima estate come un Israele o una Lettonia qualunque, con tutto il rispetto. La mediocrità messa in vetrina dalla squadra azzurra in questi giorni conferma che in questo momento abbiamo delle grandi prime punte – Danilo Gallinari, Andrea Bargnani e Marco Belinelli – ma non ci sono i secondi violini. Al completo, in singola gara, possiamo giocarcela con tutti, e mettere in campo una squadra dignitosa, ma il livello medio dei giocatori italiani è modesto. Se mancano le stelle e occorre affidarsi agli altri, diventiamo squadra di terza fascia… europea. Probabilmente non siamo mai stati peggio. Un anno fa di questi tempi si parlava di ipotesi di medaglia a Pechino. Il segretario generale del Coni, Pagnozzi, in una memorabile panoramica sullo sport italiano, definì la nazionale di basket la più forte che avessimo mai avuto. La verità è che forse non abbiamo mai avuto tutti insieme tre giocatori come Bargnani, Belinelli e Gallinari. Ma il resto? C’è un’intera generazione totalmente assente: dietro i ragazzi nati alla fine degli anni ’70 c’è un decennio di vuoto. Quelli che potrebbero aiutarci a confezionare una buona nazionale sono ancora troppo giovani, come Luca Vitali e Daniel Hackett. I vecchi sono appassiti, hanno dato moltissimo ma ormai hanno poco da spendere.
2. Ora se ascoltassimo le lamentele dei giocatori italiani dovremmo dire che siamo messi così perché gli italiani non giocano in un campionato molto straniero, ma Gallinari è stato il miglior giocatore di quel campionato, in quel tipo di torneo Bargnani ha deciso una finale scudetto e Belinelli ne è sempre stato grande protagonista come prima di lui lo era stato Basile, per restare in ambito Fortitudo. Quindi? Abbiamo la sensazione che Ricky Rubio, il favoloso bambino spagnolo, giocherebbe anche in Italia, non solo alla Joventut Badalona. Il problema è che abbiamo questi giocatori e con questi si perde. Ma soprattutto con questi non si fa un campionato valido. Non è un problema di numero di giocatori ma di qualità. Con il bacino di elementi da cui attingere si produce un campionato che diventa tanto più mediocre quanti più italiani vengono spediti in campo. Per uscire da questa crisi, di chiunque sia stata la colpa, occorre lavorare sul futuro e non sui numeri, sui passaporti, sulle eleggibilità. Senza le tre stelle siamo questi, molto scarsi nel complesso e a dispetto dei guadagni che restano molto alti per la scontata regola della domanda e dell’offerta. Per quello che hanno fatto in Ungheria, gli azzurri avrebbero potuto scioperare e quasi quasi sarebbe stato meglio. Non avessimo giocato contro i magiari avremmo pensato, nel caso, ad una vittoria comoda nonostante le assenze. Il mancato sciopero ci ha fatto precipitare nella realtà. Che è molto triste.
3. E’ chiaro che al di là degli interessi personali questa nazionale ha bisogno delle sue stelle e non può permettersi di giocare senza. Ognuno deve giustamente pensare alla propria carriera e sappiamo tutti bene che quando un giocatore va nella NBA finisce per sfuggire al controllo del suo paese d’origine per cui può capitare di non poterne disporre. E poi Gallinari è infortunato sul serio. Ma d’ora in poi Bargnani e Belinelli dovranno mettersi una mano sul cuore e aiutare gli azzurri. Belinelli onestamente alla nazionale ha già dato molto, Bargnani un po’ meno. Paradossalmente lui è andato prima nella NBA che in nazionale. Ma non è questo il problema. Il problema è che c’è un movimento che li ha prodotti, che attraversa un periodo di grandissima difficoltà. Hanno anche loro il dovere di dare una mano. Sperando che ai prossimi Europei l’Italia ci sia. In qualche modo.
4. La finale del torneo olimpico è stata il festival dell’atipicità. Non ha sorpreso la vittoria degli americani, ovviamente, e neppure l’eroica resistenza della Spagna. Quando arrivi in finale nel basket e trovi una squadra come quella statunitense tutta la pressione evapora e puoi giocare senza problemi, leggero. La sorpresa è che gli Stati Uniti hanno segnato 69 punti nel primo tempo. 69! Ed erano avanti di appena otto punti. Poi hanno chiuso a 118. 118! E hanno vinto di appena undici punti. E’ vero che erano una squadra offensiva, atletica e piccola quindi votata a fare contropiede, correre e alzare il ritmo. Poi esiste una vecchia legge del basket: quando sei più forte hai tutto l’interesse ad alzare il ritmo per avere il maggior numero possibile di possessi. Ma tutta questa applicazione difensiva non l’abbiamo vista in questa sorta di piccolo dream team. Guardie aggressive ma sempre alla ricerca dell’anticipo per rubare palla e andare in contropiede. Atteggiamento che in generale può aver pagato ma resta rischioso e contro i principi della buona difesa di squadra. Ogni anticipo sbagliato costringe gli altro quattro a giocare in inferiorità numerica e se l’attacco fa girare la palla arriva sempre un buon tiro. La Spagna è rimasta in partita 38 minuti perché ha avuto tantissimi “open looks” sul perimetro e segnato altrettanto nel cuore dell’area. Gli Stati Uniti si sono sforzati di giocare in modo un po’ più europeo a questa Olimpiade ma laggiù la prima regola di ogni difesa prevede la responsabilizzazione dei singoli. Nessuno deve farsi battere altrimenti mette tutti in difficoltà. Bisogna fidarsi dei compagni. Gli aiuti sono già frutto della disperazione. In Europa, la possibilità di essere superati dal palleggio non solo è contemplata ma addirittura prevista. Le difese di squadra sono più sofisticate. Quelle americane seguono il principio della staffetta: ognuno dà il massimo singolarmente e si spera che basti per battere gli altri. Ma qualche volta il bastoncino cade e allora si perde.
5. Diremmo che gli Stati Uniti di Pechino hanno ricordato molto i Phoenix Suns prima maniera di Mike D’Antoni e proprio D’Antoni è considerato il favorito come capo allenatore della nazionale nel nuovo ciclo olimpico. Gregg Popovich, origini montenegrine ma cuore patriottico, è un’altra possibilità. Alla fine conteranno i giocatori e il loro atteggiamento. Ad esempio Carmelo Anthony in nazionale, stranamente, sembra dare qualcosa di più di quello che fa abitualmente ai Denver Nuggets. Jerry Colangelo ha svolto un grande lavoro nella scelta dei giocatori, eliminando le mele marce. Alla fine anche i giocatori sacrificati non hanno fatto storie. Magari Carlos Boozer la prossima volta rinuncerà alla nazionale ma finché ne ha fatto parte ha accettato di essere la riserva più pagata del mondo. Poi dominare dipenderà dalle avversarie. A ogni grande nazionale serve una generazione di campioni com’era quella argentina che ha dato al proprio paese un oro olimpico, un argento mondiale e un altro bronzo olimpico. Ma il futuro della Celeste non pare entusiasmante. Già a Pechino aveva sei giocatori e i migliori (vedi Ginobili) probabilmente non ci saranno più. La Spagna ha tutta l’aria di poter essere l’avversaria più tosta per diversi anni. Il prossimo anno avrà due giocatori NBA da quintetto, Calderon e Pau Gasol, più almeno tre da rotazione, Marc Gasol, Rudy Fernandez e Sergio Rodriguez che neppure era a Pechino. Juan Carlos Navarro comunque nella NBA ha dimostrato di poterci giocare e Ricky Rubio è già il favorito come prima scelta dei draft del 2009. Alle spalle dei veterani premono nuovi campioncini.

Claudio Limardi
claudio.limardi@gmail.com

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