Repesa, Recalcati e gli apprendisti

27 Febbraio 2017 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalle grotte del Caglieron, zona a nord est di Vittorio Veneto, zona Treviso, zona Cansiglio, paese di Fregona, un nome che dice tutto, che racconta qualcosa come quando un presidentone di calcio invitava per interviste quasi esclusive al paese veneto di Rubano. Nelle grotte alla ricerca della testa di Jasmin Repesa, quella che i suoi estimatori difendono, anche se lui si sforza per rendere tutto così difficile, quella che i nemici, tanti, troppi, dentro e fuori le mura della bella Olimpia che fu, che cerca di essere, che vorrebbe essere sotto gli abiti di Giorgio Armani, avrebbero tagliato da un pezzo. Diciamo che la depressione natalizia, con il sacrificio del figlioccio Ale Gentile, avrebbe potuto portare all’esecuzione. Niente. Poi la perdita del treno Eurolega. Qualcuno, ma questo è accanimento terapeutico quando si fa dire alla nuora quello che deve capire la suocera, ha scoperto che soltanto il vice Cancellieri ha indicato la strada giusta all’orco Gelsomino che, altrimenti, avrebbe anche perso la Coppa Italia. Nelle notti infelici, quelle di Eurolega, si discute spesso, urlando anche troppo.

Il partito contro Repesa lo accusa di tormentare le belle gioie che sono i giocatori. Dentro e fuori, alla ricerca di un quintetto, ma con la frenesia di cambiarlo subito dopo. I sostenitori dell’uomo nato vicino ad un santuario dicono che sia il suo metodo per educare uomini, sviluppare il talento dei giocatori, farli maturare per il momento in cui ci sarà il raccolto. Certo che se perdi i treni mentre educhi allora te la tiri. Non abbiamo mai capito perché danno sempre ragione ai giocatori, perché li giustificano se fanno tardi, se sbevazzano, starnazzano, se sbagliano cose elementari, se perdono la concentrazione andando su e giù dalla panchina. Li perdonano a prescindere, tanto, si sa, direbbero a Leicester terra dell’ingratitudine, la colpa è sempre dell’allenatore. Cercarono di farlo capire al Repesa di Bologna. Ramo nobile della Fortitudo, che vinse lo scudetto facendo fuori Pozzecco come, magari l’uomo del Cedevita di oggi farebbe con se stesso se trovasse sulla strada uno come lui, baldoria e allenamenti quando fa comodo. Niente. Vinse, andò anche tanto avanti in quella battaglia italiana di (n)eurolega. Poi cambiò mondo, arrivò addirittura a sfiorare il regno di Malagant nel senese con la rometta del Toti, ha messo insieme 20 trofei. Niente. Sbaglia sempre lui. Può essere e siamo anche d’accordo nel criticare questa ossessione difensiva che spinge gli avversari sempre verso il centro scoprendo i fianchi, sapendo di aver preso giocatori che in mezzo all’area starnazzano, non intimidiscono. Ma non è che gli altri non sbaglino mai.

Volendo davvero criticare bisognerebbe farlo pensando a come è stata fatta la squadra della società che guida ora la classifica con 8 punti sulla prima inseguitrice, una Avellino dove forse non tutti hanno capito l’innesto del professor Logan, con 10 sulla Venezia sbranata a Cremona per il tormento di chi la pensava già spacciata e ora vede gli spettri della retrocessione allargata, addirittura 12 su Reggio Emilia dove, ahi ahi, la presidentessa ha visto giocatori fantasma, Sassari che ha pagato giornate piene e gloriose, ma pure faticose, Trento che, dopo aver ritrovato Carter e la difesa, sembra ancora una volta l’unica che pensa e produce, crea, corregge, cerca di essere migliore del giorno prima. In questo anche Repesa deve sentirsi colpevole. Non poteva non sapere di Raduljica e non soltanto perché va in moto, magari pure la notte. Non poteva non conoscere i difetti di Dragic. Non era autorizzato a trascurare il difficile recupero di Hickman, a non essere informato sulla miccia corta del prode McLean, dei difetti tecnici del Kalnietis che, sempre secondo i nemici di Repesa, è l’unico giocatore, con tanti saluti a Simon o allo stesso Macvan dai lombi pesanti. Come non capire le smanie di Sanders, con o senza Gentile? Insomma, costruzione sbagliata, un mondo non ideale per far maturare e crescere il trio della scuola Mariuccia del presidente Petrucci: sì, per Fontecchio, Pascolo e Abass servirebbe un mondo diverso, latte e miele vorrebbero i nemici dell’orco, ma poi ti trovi in casa l’incompiuta come sanno i tanti che hanno usato questo metodo con le promesse di Italia nostra. Le panchine come graticole non ci hanno mai convinto. Si va in campo e si torna fuori, ma non si esce mai dalla partita con la testa. Questa dovrebbe essere una squadra, perché altrimenti ogni “campioncino tartufato” andrà a piangere sulla spalla di chi vive alle sue spalle e non farà mai fatica a dargli ragione. Nella vecchia Olimpia c’erano delle mogli invadenti, petulanti, ma la squadra le isolava. Se non si ottiene questo è la fine e lo vedete bene come funzionano certe società.

Alzi la mano chi non ha intuito subito che la nuova via canturina per la camionale russa, per mesi quasi tutti in rosso, non soltanto ad Ottobre come dice la maglia, sarebbe stata come quella dei poveri autisti francesi sulla strada senza parapetti portando esplosivi. Non puoi pompare soltanto dollari e sperare di avere in cambio acqua benedetta. Il Cantuki era speciale perché la famiglia Allievi l’aveva reso speciale, la squadra era qualcosa che non poteva staccarsi dalla città, anche se poi questa città al basket ha dato più schiaffi che carezze, cominciando dai palazzetti burla. Dovevano chiedere alla signora Cremascoli, tenersela al fianco, per entrare cercando di capire quello che lei stessa vavea compreso faticando tanto. Non si può invadere senza conoscere le usanze del territorio. Succede da sempre e se colonizzi, senza capire, finisci nelle paludi, perdi tutto. Ora al capezzale di Cantù hanno chiamato Carlo Recalcati stanchi degli apprendisti: uno esagerato come Kurtinaitis che aveva addirittura 47 giochi da proporre, l’altro, l’incolpevole successore Bolshakov, confuso fra lingue che non si capivano o che lui non sapeva. Boh. Agli esami chi lo ha passato? Ora Charlie il micione sacro ha vinto così tanto, ha fatto così bene nella sua carriera di allenatore per spaventarsi davanti a questa squadra che tale non è mai stata tale. Il problema è che troverà tutta gente con in tasca una sola regola: facciamo in fretta a chiudere, domani è un altro giorno. A Cantù chi allenava trovava gente cresciuta nella sacra casa, certo con Trinchieri è stato diverso, ma lui sapeva, conosceva, aveva l’abilità di far capire anche ai mercenari. Qui Recalcati troverà dei tipi che in certi momenti hanno persino illuso di poter riportare Cantù ai play off e poi si sono perduti verso la Svizzera dove il peccato viene nascosto in banca.

Buona fortuna Charlie e adesso i pensieri sparsi nella settimana dopo la coppa a Rimini che ha fatto irritare il governo del mondo di A2, mai ringraziato per aver sperimentato molto prima la sede e la formula, indignato per l’arzigogolo legaiolo su un possibile accorpamento della coppa fra tutte le serie, una stessa sede. Neppure Babele ci avrebbe pensato e, quando ci ha provato, sapete come sono finite le sue torri, peggio di quelle della Roma. Tornando alla coppa Italia che ha fatto sorridere il suo governo per le 30 mila presenze, speriamo certificate da cifre sugli incassi che possano testimoniare, ci domandiamo cosa dovrebbero fare gli spagnoli che a Vitoria hanno portato oltre centomila persone. Gli spagnoli, quelli che fanno giocare quasi tutti all’ora di pranzo nelle domeniche dove il calcio comanda? Sì, proprio loro che hanno scoperto altre piccole cose per farlo crescere davvero, il baloncesto.

Qui restiamo nella zona d’ombra, ci vorrebbero liquidare con il sorrisino di chi ne sa una più della perpetua, ma poi inciampano un po’ come quei telecronisti urlatori che nelle partite di football americano gridavano felici ad ogni placcaggio: livellato, livellato. Peccato che la gente ci moriva per quei livellamenti. Da noi non capiterà, pazienza se i padroncini sembrano elefanti che vanno in giro scuotendo il testone. Prima o poi capiterà che qualcuno chieda di vedere le cose alla luce dei risultati concreti. Pensate che nella pallavolo hanno accompagnato alla porta Magri che sembrava presidente a vita, sei mandati, uno che ha vinto tantissimo, aiutando e ascoltando uno sport dove hanno sempre avuto idee migliori di quelle del povero basket a cui, pur avendo meno soldi da offrire, hanno persino rubato fior di talenti. Qui da noi non si riesce a mandar via neppure un presidente di comitato regionale, eppure non tutte le regioni funzionano e i nostri vivai sono camere ad ore dove non nasce quasi più niente e, se nasce, facciamo in modo che vada altrove.

Pagelle oltre la siepe, oltre queste grotte di “fregoni”, dove adesso hanno ammesso quello che tutti sapevano e cioè che l’Emporio aveva tutto per dominare, per sentirsi una società a parte. Sì, ma ora hanno capito che quella stessa Milano che da noi vince anche se perde 20 palloni, se sbaglia la metà dei tiri liberi, è trattata a pesci in faccia persino dal peggior Barcellona dell’ultimo decennio. Loro, quelli che ce la raccontano non avendo controparte nel regno degli inginocchiati, vorrebbero vendere il prodotto con questa nuova teoria: be’ sì, Milano fuori categoria, ma dietro, accidenti che botte per i play off e la retrocessione adesso che Cantù è nel gorgo. Come dare torto a questi nuovi maestri?

10 Al Lepore che ha riaperto la botola della retrocessione dove molti si erano illusi che ci fosse spazio soltanto per la sua Cremona, dove devono aver trovato torrone adatto anche per il Johnson Odom ripudiato da Sassari se ha scaricato persino 7 assist purgando la povera Venezia.

9 A Carlo RECALCATI che non smette mai di stupirci. Noi pensavamo che fosse stanco di vedere certe facce agli allenamenti, che si fosse esaurito dopo aver detto chiaro come stanno le cose nel nostro basket, sicuri che avrebbe potuto diventare presidente federale. Niente. In miniera. Speriamo trovi qualcosa dove non hanno lasciato quasi nulla, neppure un giocatore delle giovanili degno di stare in campo. Auguri.

8 Al LANDRY di Brescia perché il suo modo di interpretare il gioco, la professione, fa capire che alla Leonessa non hanno soltanto entusiasmo, ma anche idee chiare. Bravo Diana, bravi i dirigenti. La Lombardia in gramaglie per Varese e Cantù ha trovato qualcosa che ci riporta ai tempi in cui i Laimbeer venivano da noi prima di sfondare nella NBA.

7 Al FORRAY di Trento nel giorno in cui Baldi Rossi ci ha ridato le speranze di avere un giocatore di qualità come pensavamo prima dell’infortunio. Certo l’argentino Forray è una storia ed un giocatore diverso. Bravo nella fatica, stupendo quando racconta cosa è davvero la sua Aquila. Di questa gente abbiamo bisogno, hanno bisogno i teneri in crescita alla Flaccadori che nel suo 0 su 4 beve la stessa cicuta di altri italiani, quelli non citati da chi vede solo le giornate buone dei “nostri” e sa bene quante sono quelle cattive di tanti che frignano e si sentono trascurati.

6 Alle ragazze di SCHIO che hanno ridato il sorriso al violinista Procaccini. Successo in Coppa Italia quasi scontato, ma dopo il divorzio dall’allenatore spagnolo e qualche sconfitta tipo Armani sembravano pure loro in depressione. Meglio così, se ora la Zandalasini farà altri progressi di fianco alle chiocce Macchi e Masciadri.

5 A REPESA se adesso si lamenta perché gli altri trovano, o pensano di aver trovato, rinforzi. Non ci dica che le casse Armani, pur private dei 30 mila euro partita da incassare per ogni vittoria in eurolega, sono chiuse aspettando la primavera. Doveva prendere un rimbalzista, un uomo che in area, dove la sua difesa spinge sempre gli avversari, potesse intimidire. Ora è giusto che sfidi le altre con quelli che ha. Per i favoriti  è sempre stato così. Soltanto gli altri sono autorizzati a perdere.

4 Alla REYER nella settimana semi nera per uomini e donne, i primi se la sono cavata con le unghie nella piccola Europa anche se ora troveranno Avellino, le seconde non ce l’hanno fatta in coppa Italia organizzata nella loro casa al Taliercio. Diciamo che al momento non è soltanto il sindaco e proprietario a portare le stampelle che, conoscendolo, lancerebbe sul campo alla Toti se potesse servire a svegliare certi finti fenomeni.

3 A Pietro ARADORI perché dopo l’infortunio non lo abbiamo quasi più visto giocare alla sua maniera, anche se non siamo mai stati tifosi della sua maniera di vedere il basket. Nella sua crisi che copre quella lunghissima di Polonara ci sono i mali di una Reggio Emilia dove il fuoco amico fa gli stessi danni che vorrebbe fare a Milano. Destini per le ultime finaliste scudetto.

2 Al crudele DI CARLO perché ha messo le mani nella ferita purulenta di Cantù, perché non dirà mai a nessuno i segreti per questa stagione straordinaria di Capo d’Orlando dove il basket sa cosa è la felicità.

1 Alla RAI per il basket domenicale delle 20.45 perché se ti vanti dei buoni ascolti, tipo coppa Italia, finale alle 18, poi dovresti anche spiegare perché a Milano, alla stressa ora, in troppi guardavano l’Inter perdere con la Roma e in pochi Milano vincere a Caserta. Masochisti del catodo unitevi.

0 A Luca VITALI che abbiamo “perseguitato” quando era soltanto superbone, che abbiamo applaudito più a Montegranaro che nelle grandi squadre dove è andato, perché le sue ultime esibizioni hanno fatto giustamente dire a tanti che pure non lo sopportavano: è un piacere giocare con lui aspettando che crei qualcosa per te o per la squadra: questa poi, vorrà dire che alla prossima neve andremo a Canossa, magari gli daranno anche i premi che ogni inverno celebrano il grande basket nel regno di Sidoli.

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