Rebellin senza peperoncino

29 Aprile 2009 di Stefano Olivari

Senza entrare nel merito scientifico dei controlli antidoping, nonostante il 99,9% delle analisi sul campione B (quella di Rebellin sarà effettuata fra un mese) confermi quelle fatte sul campione A, possiamo dire la solita banalità. Cioè che lo sporco viene trovato solo nei contesti in cui viene cercato: infatti per tracciare il CERA il Comitato Olimpico Internazionale si è messo d’accordo con la casa produttrice, la Roche. Considerando il fatto che gran parte del doping calcistico è somministrato non da una Spectre formata da premi Nobel, ma da medici di provincia (alcuni dei quali arrivati in altissimo pur sapendo quasi zero di ortopedia e cardiologia), la tracciatura del doping ‘medio’ dovrebbe essere uno scherzo anche senza indagini della magistratura su farmacisti maneggioni. Oltre a coca e ‘maria’, i positivi del calcio italiano sono sempre stati beccati per operazioni personali o delle rispettive nazionali, mai per la gestione dei club. Non è ovviamente un problema solo italiano, al di là degli elogi al ‘ritmo alto’ derivante da vaghe ‘motivazioni’ e da una improbabile ‘cultura’: però per irruzioni notturne a casa di Totti, Kakà, Del Piero o Ibrahimovic leggeremmo di sicuro articoli più garantisti di quelli riservati a Riccò o Sella (nessun demente fa sit-in e striscioni per uno scalatore, per quanto popolare sia). Il nostro doping è sempre il peperoncino.

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