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Attualità

Rating basso per Moody’s e Standard & Poor’s, buono per Fitch

Stefano Olivari 15/10/2018

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Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch: fra i nomi citati acriticamente ogni giorno da giornalisti ed orecchianti le agenzie di rating hanno senz’altro un posto d’onore, insieme a oscure commissioni europee ed improbabili emanazioni dell’ONU. Non ci sarebbe alcun problema se le loro valutazioni, con criteri leggermente diversi fra di loro, non avessero un impatto immediato sul debito pubblico degli stati, sulle quotazioni delle singole aziende e in definitiva sulla vita di tutti noi. Però così non è. La domanda è semplice e la rivolgiamo ai tanti uomini di finanza che leggono Indiscreto, rubando tempo ai loro raid sui mercati internazionali: si può credere alle valutazioni delle agenzie di rating?

Vediamo caso per caso, riducendo il discorso alle tre principali, quelle che possono mettere in difficoltà anche un paese forte come l’Italia e a maggior ragione paesi ridicoli. L’azionariato di Moody’s ha come principali esponenti Berkshire Hathaway (Warren Buffett, in sostanza), Vanguard Group, Blackrock, State Street e Baillie Gifford. Sono tutte società di investimenti fra le più grandi al mondo, che nei loro fondi e nelle loro gestioni hanno ovviamente titoli, di stato e non, il cui rating è assegnato dalla Moody’s della situazione. Il rating che assegneremmo a Moody’s, usando la sua terminologia, è quindi C: spazzatura. Come se il critico televisivo di un giornale di Cairo giudicasse le trasmissioni di una televisione di Cairo, o un giornalista della Stampa la dirigenza della Juventus: le persone singole possono essere oneste, ma il sistema proprio no.

Prendiamo adesso Standard & Poor’s e i suoi primi cinque azionisti: in ordine decrescente Vanguard, Blackrock, State Street, FMR, Edgewood. Quelli sul podio già li abbiamo incontrati in Moody’s, mentre FMR ed Edgewood sono anch’esse società di gestione di capitali. Nostro rating alla loro credibilità: CCC-, in termini S & P. Spazzatura anche qui. E Fitch? Purtroppo non c’entra il grande Bill, ma delle tre più citate dai mezzobusti è forse la più credibile. Infatti dallo scorso aprile è posseduta totalmente dal gruppo Hearst (quello fondato dal protagonista di Quarto Potere), che comunque già prima la controllava. Insomma, un editore puro con il pallino del gioco ancora in mano ai discendenti del fondatore. In termini Fitch come credibilità daremmo quindi una valutazione alta (doppia A?) anche se è chiaro che come le due cugine fa parte di un sistema creato dalla SEC (quindi dagli Stati Uniti intesi come stato, anche se la SEC è formalmente indipendente) nel 1975 e che si è consolidato nel tempo con una serie di acquisizioni e fusioni.

Nostra conclusione grezza, di modesti lettori di pagine finanziarie preoccupati per le sorti del proprio trilocale di periferia: i rating di Fitch sono credibili, il che non significa che siano corretti, mentre quelli di Moody’s e Standard & Poor’s senz’altro no. A un livello più profondo il conflitto di interesse ce l’ha anche Fitch, visto che le società quotate per ottenere un rating (potrebbero in teoria sbattersene, ma cosa penseremmo noi parco buoi di un’azienda senza rating?) e quindi fin da subito le agenzie diventano non soltanto giudici ma anche anche consulenti. Tutte, anche quelle minori, fanno più soldi con i servizi finanziari che con le valutazioni in senso stretto.

Venendo al nostro orticello e al mitico spread (che ovviamente le tre cugine esprimono prima di tutto rispetto ai Treasury americani e non ai Bund), ci sono un po’ dappertutto tabelle storiche che mettono i correlazione i rating con lo spread. In quasi tutte l’attuale spread (mentre stiamo scrivendo queste righe quello con i tedeschi è di 306) sembra esagerato rispetto alla tripla B del debito pubblico italiano, ma è probabile che la quotazione attuale già sconti in parte le previsioni di declassamento dovute al DEF e non solo. Rimane il fatto che la grande finanza americana non soltanto domini quella mondiale vendendo e comprando, ma dia anche i voti a ciò che vende e compra. Come se ci mettessimo a giocare al Fantacalcio contro il giornalista della Gazzetta che dà i voti ai giocatori.

Non abbiamo idea di come si possa uscirne, non certo con agenzie statali che diano voti al proprio debito. Forse basterebbe ridurre la considerazione mediatica ed istituzionale delle Big Three, ma dovrebbero iniziare a farlo i paesi più solidi, cioè quelli che con l’assetto attuale vengono quasi pagati per poter acquistare il loro debito pubblico (e che quindi non hanno interesse a toccare lo status quo). Rinnoviamo la domanda al target alto di Indiscreto, con la certezza che ne nascerà una discussione interessante visto che in questo campo è impossibile essere tifosi di qualcosa o di qualcuno.

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