Radio Sportiva e quelli che non pagano

15 Febbraio 2017 di Stefano Olivari

A tutti gli appassionati di sport italiani è capitato sicuramente di ascoltare Radio Sportiva, come confermano i 965.000 ascoltatori medi al giorno dell’emittente: un grosso risultato per chi è fuori dal giro dei grandi network. Noi qualche volta siamo anche intervenuti in diretta, chiamati dalla redazione e senza compenso (non ci sarebbe bisogno di precisarlo). Redazione che da due giorni è in sciopero per vari e seri motivi, fra cui il più importante: l’editore (la Media Hit di Loriano Bessi, che i toscani conoscono soprattutto per Radio Blu) non li pagherebbe da mesi. Usiamo il condizionale perché conosciamo versioni di parte e risparmiamo la lagna della solidarietà ai giornalisti, come se non pagare loro (noi) fosse più grave che non farlo con un’estetista o un muratore. Certo che siamo solidali, comprendendo purtroppo bene cosa significhi vivere sul filo di un bonifico in ritardo.

Il punto della questione è un altro, più generale. Riguarda tutti gli italiani con un lavoro autonomo e una buona parte di quelli con lavoro dipendente: in questo paese non è che manchi il lavoro, per chi non sia schizzinoso (e chi fa il giornalista sportivo di sicuro non lo è), ma il rispetto del lavoro. Così possono in molti settori proliferare cialtroni che con il classico ‘da cosa nasce cosa’ tengono sotto scacco giovani e meno giovani senza tutele contrattuali (e fin qui ci sta, nel mondo di oggi) ma soprattutto senza tutela da parte della legge. Quanti si imbarcherebbero in una causa dai tempi lunghissimi per un credito da mille euro? Esiste poi un retropensiero collettivo, molto italiano del genere DC-PCI, secondo cui il debitore è un poveraccio e il creditore un avido che punta ai soldi, ma la realtà è che spesso il debitore è uno che non paga i lavori fatti o i beni acquistati. Insomma, il vero proletario è il creditore che già di base accetta pagamenti a sei mesi (non amiamo la teoria, citiamo quindi il nostro caso).

Riscuotere un credito, per la vendita di un bene o di un servizio, è ormai uno sport estremo. Ma in concreto come si fa? Bisogna prima di tutto inviare una diffida tramite raccomandata con ricevuta di ritorno con il dettaglio delle pendenze (a volte ci ha aiutato un avvocato, ma non è necessario), chiedendo il pagamento entro un dato termine. Raramente c’è una risposta e quindi si entra nella fase due, quella del ricorso in base all’articolo 633 del codice di procedura civile per ottenere dal giudice il decreto ingiuntivo che, abbiamo scoperto sulla nostra pelle, non è in automatico esecutivo. In sostanza in questa fase due non ci si può rivalere sui beni del debitore e così passano settimane spesso decisive quando si ha a che fare con furfanti che si volatilizzano. Fase tre: notifica del decreto al debitore, che ha 40 giorni per opporsi: e se lo fa sono comunque problemi, perché si entra in un processo civile vero e proprio, con costi e tempi incerti. Mettiamo che non ci sia opposizione ma nemmeno pagamento, il caso forse più comune. A questo punto parte il cosiddetto precetto (fase quattro), con pagamento richiesto in tempi brevi. Nessuna risposta nemmeno al precetto, allora (fase cinque) si può chiedere al tribunale il pignoramento. Di solito il debitore, se azienda, è quasi fallito e se privato puro risulta quasi nullatenente. Certo il pignoramento può essere richiesto più volte, ma a un certo punto si muore.

Essere dipendenti veri, non partite Iva assimilate a dipendenti, fa a volte la differenza perché i tempi sono più stretti anche se in caso di fuga del debitore i rischi possono essere nella sostanza gli stessi. Domanda: ma chi non paga il debito può finire in carcere? La risposta è teoricamente sì, alla lettera della legge e solo in pochi casi, perché l’insolvenza fraudolenta porta dritti nel penale: in pratica se il debitore finge di essere nullatenente o, caso molto comune nell’editoria, nasconde la propria incapacità di adempiere all’obbligo assunto. I nostri termini non saranno giuridicamente perfetti, anzi non lo sono senz’altro, ma nascono da battaglie vissute sul campo. Pochissime vittorie, nonostante mai al magistrato sia sfuggita la situazione reale, e la certezza che le leggi siano inadeguate e fondamentalmente a tutela di Caino, mai di Abele (eravamo rimasti che il cattivo era Caino). La flessibilità invocata da professori in genere poco flessibili può essere accettata dal lavoratore, ma a patto di vivere senza farsi prendere in giro.

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