Il destino del cavaliere Hackett

28 Luglio 2014 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla Piramide davanti al Louvre di Parigi tenendo il telefonino accesso per parlare con piazza dei Signori a Treviso dove non vanno forte come Nibali, ma hanno l’idea di ridare vita al Palaverde con una squadra sincera, fatta bene. In quel lavoro vedo qualcosa che ci mancava perché tipi come Vazzoler, Gracis, come il Simone Fregonese condiviso con la pallavolo, sono storia nostra nata nella Marca, nata nel feudo di Gilberto Benetton che uscì dal basket tanto amato per  il vero grande peccato del Minucci alla gogna, perché le sue colpe di oggi non ci sembrano diverse dalle colpe degli altri di ieri, ma gli altri non li hanno presi dice Bertoldo sghignazzando con Bertoldino a Cacasenno, partito lancia in resta sul caso Lorbek ben sapendo come stavano le cose. Voleva annientare l’unica vera rivale dilaniando il balivo Buzzavo che nel basket aveva fatto cose grandiose e avrebbe continuato a farle se non ci fosse stato il macigno che ha schiacciato soltanto la testa del povero fornaretto Cirelli che ci manca tantissimo. Armani non si era ancora presentato al peso. Sapeva dei crolli periodici della Bologna in crisi, aveva come nemica nel quadro con lo stesso verde come sottofondo. Sbagliò. Glielo dicemmo tante volte, anche se lui si difendeva fingendo di essere stato soltanto alla finestra, di non aver neppure reclamato anche se la coppa Italia la Benetton la vinse con Lorbek in campo. Ora che Siena sta passando le stesse pene di quella Treviso, l’inferno che strangola ancora la Fortitudo, il purgatorio con poche speranze di promozione della Virtus Bologna, della Scavolini, lasciateci almeno godere di questa probabile resurrezione. Stanno acquistando giovani talenti come una volta, hanno idee interessanti. Partono da lontano, ma presto ritroveremo Treviso dove deve stare.

Perché la linea aperta nello splendore di Place de La Concorde e il palazzo da dove voleva buttarsi Moschin in Signore e Signori? Perchè  a Treviso hanno visto e conosciuto i tormenti di Daniel Hackett, il primo speronamento della logica per un cavaliere che ha deciso di tormentarsi spesso, troppo spesso, da solo. Non andò bene. Sembrava davvero quel sir Ulrich von Lichtenstein interpretato da Heath Ledger nel film di successo “Il destino di un cavaliere”. Anche il nostro Daniel ama i travestimenti, pretende dai Chaucer di turno, anche quelli trovati nudi sulla strada per aver perso tutto al gioco come accadde ad Ulrich, le patenti di nobiltà che il campo gli ha dato prima nell’università americana e poi a Pesaro prima di vincere quello che meritava con Siena.

Strano tipo il nostro Daniele, che avremmo voluto in campo in Slovenia per poter conquistare il passaporto per il mondiale. Lui era sofferente, a lui piace questa immagine eroica, anche per il secondo scudetto ha preteso l’inchino davanti all’atleta con tanti guai fisici (soltanto fisici?), di chi ha sacrificato tanto e non ha ricevuto il giusto rispetto. Ci siamo letti bene l’intervista di Elisabetta Ferri, una che considera Hackett come figlio adottivo, una giornalista di qualità, quando è scoppiato il caso con Azzurra Tenera. C’era un fumo di persecuzione che lui si è inventato. La Nazionale aveva, ha bisogno di lui per sognare in grande. Con Hackett si poteva anche rinunciare a Belinelli. Questo avrebbe dovuto fargli capire quanto era considerato importante. Ora siamo sul fondo dello stagno mentre i coristi si dividono lo spartito: giusto castigarlo, ingiusto dargli una squalifica così pesante, sbagliato insistere se un giocatore ti dice che non è pronto e non vuole giocare per la Nazionale, perché non credere ai suoi malanni e non fare una piega per la tardiva operazione che ha “costretto” il già recidivo Melli, accadde a Bormio, a lasciare il raduno spiazzando chi sperava di essere informato per tempo? Dicono che non era sotto contratto e allora avrebbe dovuto essere il giocatore  e non Milano ad avvisare. Uhm. Ci mancherà tanto anche lui, considerando che il Pianigiani, per farci capire che lui è lui e noi non siamo nulla in confronto alla scienza cestistica che illumina la sua strada, sta centellinando il Davide Pascolo finto nueve che ci aveva folgorato a  Trento, come Modì Della Valle, con la stesse idee che un  tempo gli facevano guardare con sospetto la magrezza di Polonara. Melli era importante almeno quanto Hackett. Non ci sarà nessuno dei due nel tornino della beffa contro Svizzera e Russia.

Ci hanno chiesto se era giusto sbattere la porta in faccia a un campione che fuggendo ha dato spazio anche a chi adesso fa girare la voce che la paura vera stava negli esami che spesso svelano se non ti alimenti come deve fare un professionista. Gli sarebbe stato utile scoprire invece quello che può e non deve mangiare o, soprattutto, bere. Lui che sogna la NBA, forse a ragione, vale almeno come dieci o venti degli esterni che giocano in quel finto paradiso, dovrebbe sapere che c’è sempre una possibilità, basta vivere il lavoro senza angosce. Lui è convinto di aver già sacrificato tanto ad Azzurra perché l’università lo sospese, ma dimentica  che quelle luci migliorarono di molto le possibilità di futuri contratti europei se la NBA non lo avesse chiamato, come poi è successo.

Ora che il baldo Scotti ha deciso con l’avvocato di non fargli presentare ricorso siamo davanti al dilemma della stagione: caro Petrucci, la lezione è stata data, ora si passi alla fase della tolleranza uno, della pacificazione, ascoltandosi, a meno che non siano altri a volere questo castigo solenne che porta automaticamente alla rottura del triennale con Milano. Non fateci  venire l’angoscia che tutto cambia, perché nulla cambi. Spostando soltanto la sede dell’uomo nero che tutto decide. Certo se Hackett non ha intenzione di sacrificare nulla alla Nazionale inutile chiamarlo. Lo si fa con i ragazzi NBA, perché non con i nostri? Ma loro hanno tutti una buona scusa. Anche Hackett pensa di averla, ma voi non gli credete perché un malato serio non va fino alle isole Vergini. Ci sarà stato davvero? Fuori tutta la verità prima che i topi si mangino l’ultimo aggancio di Daniele con il mondo che lo ama di più.

Tornando a noi, devo dire che Marino ha trovato una bella strada  svelando il calendario nella sala Buzzati della RCS. Ha parlato di mondo nuovo. Gli  ha creduto persino Bianchini che, giustamente, vorrebbe vedere gente pronta a parlarci di qualcosa che sia meno arido del pick and roll, che Naismith li maledica, ma nella sostanza dove avete visto questo nuovo dialogo coi media? Negli orari delle partite? No di certo. Avremmo gradito sentire qualcuno della Rai sui progetti futuri. Niente. C’è tempo.

In quella festa il più contento era il nostro collega Longhi, presidente di Trento, la vera e splendida novità della stagione. Lui ha promesso meraviglie per accogliere i viandanti del basket e sapete cosa gli imporrà questa Repubblica confusa: in un palazzo dove si gioca la grande pallavolo da anni non avrà l’omologazione se non ci sarà la gabbia per i “tifosi” ospiti. Non era questo un argomento pressante più della scalmane di Hackett? Non menatecela con la storia che si diventa importanti se la Nazionale fa grandi risultati. Lo sanno persino i bambini in lacrime per Balotelli, ma non è che tutto deve girare intorno a questo sole. Siamo  cittadini dello stesso regno e ci piacerebbe che ci fosse una tavola rotonda dove discutere e non un pulpito da dove far partire le omelie dei soliti noti, che sono tanto uguali a quelli che combattevano fino a ieri nelle isole del rancido malaffare.

Anche il nostro Ulrich von Liechtenstein fu smascherato perché non aveva patente di nobiltà. Ma il principe nero, futuro re d’Inghilterra, una strada inversa a quella del Petrucci ora nel feudo dopo aver avuto il regno, lo protesse e gli diede la possibilità di combattere per il suo onore e i suoi amori, non lo mandò certo lontano come potrebbe accadere se Milano lo licenzierà e dall’estero si prenderanno il cavaliere per l’Eurolega.

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