La narrazione di Conte condottiero palluto

3 Luglio 2016 di Stefano Olivari

Tutti gli allenatori del pianeta, soprattutto quelli che non lo ammettono, preferiscono avere una squadra del livello medio più alto possibile ma senza stelle, a prescindere dalle convinzioni tattiche e dalla propria storia personale: in questo senso l’ex calciatore ragiona esattamente come il Sacchi di turno. Per i tecnici leggere, anche dall’ultimo blogger del paesello, che ‘si vede la mano dell’allenatore’ vale come un orgasmo multiplo. Conte non fa eccezione e il compito gli è stato facilitato dal fatto che l’Italia non abbia nessuno dei migliori giocatori del mondo, anche nei singoli ruoli: non ha insomma dovuto gestire un caso Baggio, un caso Rivera, un caso Vieri, un caso Totti, eccetera. Addirittura ha evitato di ricorrere a Pirlo, cioè all’artefice primario dei suoi tre scudetti alla Juventus, con Pirlo che ci è rimasto malissimo, senza mai davvero giustificare la scelta: se le immagini di Eurosport non mentono non è che sia attualmente più lento di Thiago Motta. L’ormai ex commissario tecnico azzurro sarà rimpianto perché la scelta di Ventura è priva di ogni senso, ma non certo perché è stato il primo al mondo a creare una squadra di ragazzi che remassero tutti nella stessa direzione. La narrazione di Conte grande condottiero alla Decimo Massimo Meridio, alla testa di una squadra di gladiatori sfigati, è una colossale cazzata che per un mese e mezzo ha tenuto prigioniere le menti di molti giornalisti e spettatori. Nel senso che questa Italia era davvero una squadra, come dimostrano anche le lacrime finali di Buffon e Barzagli, ma non certo un inedito. La storia anche recente dell’Italia è piena di squadre unite, fra l’altro con all’interno molte più personalità di spicco e quindi con l’allenatore più bravo a farle coesistere. Stiamo in questo secolo: l’Italia di Zoff a Euro 2000, quella di Lippi a Germania 2006, quella di Donadoni a Euro 2008, quella di Prandelli a Euro 2012 e fino quasi al Mondiale. Sinceramente gli articoli su questo Conte serissimo (invece Löw e Deschamps prima della partita non studiano gli avversari e se ne vanno a mignotte) e palluto, che ricordano vagamente quelli dei primi giorni di Arrivabene alla Ferrari, sembravano usciti dagli anni Trenta e in campo televisivo le cose sono andate peggio: in mezzo a tanti opinionisti ancora nel giro e abituati al politichese, ci voleva un giornalista di razza come Sconcerti per dire, da giornalista, l’ovvio e cioè che non si può spacciare per un’impresa epica arrivare ai rigori senza fare nemmeno un tiro in porta in 120 minuti. Gli azzurri non hanno fatto una migliore figura di quella fatta una settimana prima, contro la stessa Germania, dall’Irlanda del Nord (andiamo a memoria, ma non ci ricordiamo nemmeno lì un solo tiro della squadra di O’Neill). Hanno onorato la maglia dando il massimo, facendo le barricate contro il sopravvalutato Belgio (diverso da noi: alcuni grandi talenti e alcuni grandi cani, con poca classe media), gestendosi con le mediocri Svezia e Irlanda, esaltando in un ottavo brillante e aggressivo contro la Spagna al capolinea. Conte se ne è insomma andato nel momento per lui giusto, facendo i propri interessi come tutti gli esseri umani. Dice che l’Europa è tornata a rispettarci? Ma all’ultimo Europeo l’Italia era in finale… Complimenti sì, il monumento equestre no.

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