Puntare sul lungo raggio (Matthäus era da Inter)

1 Maggio 2017 di Stefano Olivari

Il giorno dopo Inter-Napoli è un lunedì come tanti altri, per lo meno al Champions Pub. Nell’ultima settimana tante notiziole da telegiornale di provincia, di quelli che aprono con il vaticanista adorante e il Papa che abbraccia l’imam e tutti insieme fanno credere al popolo bue che il problema siano gli estremisti. Ma ogni cosa ovviamente scompare di fronte allo 0-1 di San Siro contro la squadra di Sarri, che ha tolto un senso alla domenica sera e probabilmente anche alle vite del Gianni, del Walter, del Franco e di Budrieri, che hanno seguito la partita dal loro solito secondo anello rosso, a poca distanza da una tribuna stampa con un giornalista vero ogni dieci accreditati, con Max cosciente di far parte degli altri nove, come del resto la Fede. Per tutta la partita l’inviata di Nerazzurrecontaccododici.net ha chattato con un intrigante chef bi-stellato che possiede ristoranti a New York, Parigi e Dubai e la cui cucina fonde la tradizione calabrese con influenze etiopi e suggestioni malesi, conosciuto venerdì su Tinder. Non ha ancora scoperto che si tratta di un trentacinquenne disoccupato di Corsico di origini cosentine (il vero pallista ha sempre una base su cui inventare), che si è licenziato dal call center dove proponeva iscrizioni a una piattaforma di trading online e adesso vorrebbe diventare influencer nel settore del food. La Fede si è anche persa la premiazione di Matthäus prima della partita, ma del resto mai ha sentito nominare Matthäus e come lei 11,9 dei 12 milioni di utenti unici quotidiani del sito (tutto certificato, non mettiamo in dubbio la professionalità dei rilevatori). Così anche oggi, mentre il mondo brucia e la civiltà occidentale scompare pagando il taxi a chi la disprezza, con i suoi membri più illuminati che sprizzano felicità per i tanti ponti in cui possono stare in coda a Melegnano o a Varazze, nella periferia ovest di Milano il parlare di calcio è l’unica cosa che tenga attaccati alla vita insieme agli sconti 30% del Simply, al videopoker, al centro massaggi Tuina, al Nails Paradise, a miserabili eredità, alle scoperte di Mirabelli e soprattutto a Gabigol.

Sono le due di pomeriggio e Paolo-Wang sta servendo un caffè che nei paesi civili prima dell’entrata della Cina nel WTO non si era mai bevuto: Ping è soltanto uno dei tanti imprenditori che hanno sfruttato la politica di Clinton, nemmeno il più disonesto. Gli impiegati della Tuboplast sono ancora via per il ponte, stanno per perdere il posto ma devono far vedere al vicino (che schiatta di invidia) e al portinaio filippino (al quale non frega un cazzo) che sono partiti. E pazienza se vanno da parenti o in qualche valle bergamasca, dove nella mezza stagione fa più freddo che in inverno. Chissà quanti di loro hanno stampato il file mandatogli da Tosoni, che prendendo spunto dal caso Alitalia gli ha mandato il testo di un accordo da sottoporre a referendum. In realtà l’accordo è fra Tosoni e sé stesso, perché alla Tuboplast non esistono sindacati, e i suoi punti qualificanti sono i seguenti: 1) Orario di lavoro e in generale di disponibilità portato a 9-23 (“Per sfruttare, grazie al fuso orario, anche il mercato statunitense”); 2) Stipendi ridotti del 20% e corrisposti totalmente in Bitcoin o, per i dipendenti con una casa in Sardegna, in Sardex; 3) Possibilità di esuberi per il 50% del personale, a seconda dell’andamento dei mercati e delle richieste produttive (ma la Tuboplast non produce più niente da decenni); 4) Conferma di tutti i benefit (ma alla Tuboplast nessuno ne ha); 5) Partecipazione a seminari definiti di ‘job placement’ tenuti da Cogodi. Secondo i primi sondaggi, potrebbe prevalere il ‘No’ e quindi la difesa ottusa di privilegi ormai fuori dal tempo.

Zhou ha poi davvero conosciuto una personal shopper lucana, attraverso LinkedIn, non credeva che ne esistessero davvero: i weekend dei milanesi a Matera hanno prodotto danni irreparabili. Stamattina ha preparato poche piadine e avuto il tempo per riflettere sul caso Alitalia: molti suoi dipendenti si meritano senz’altro di finire in mezzo a una strada, ma Etihad ha spolpato Alitalia in vari modi e gli dispiace che l’Italia non abbia più una compagnia di bandiera. Un finale scontato per un paese convinto di puntare sul food e sulle eccellenze del territorio: un paese ormai di camerieri, cuochi, affittacamere e gente che rimpiange il passato, non autosufficiente nemmeno nelle intenzioni, con pagliacci che parlano di Florida d’Europa, di ricchi da attirare e di Alitalia che si salverebbe di sicuro puntando sul lungo raggio. Ma certo, più voli Roma-Riad e il bilancio si raddrizza. Non è l’Italia che Zhou aveva sognato. Anzi, non è nemmeno più Italia.

Max è disperato e non certo per lo chef stellato della Fede, ma per motivi molto più concreti. Salvatore da Locri gli ha infatti scritto che non vuole più scrivere notizie brevi e che pensa di dedicarsi anima e corpo al long-form, idea quasi certamente messagli in testa da Vincenzo e Pier Luca nell’ultimo brain storming al Mc Donald’s di via Novara, di fianco al negozio di giocattoli e alla rimessa dell’ATM dove Budrieri si sente più a casa che a casa sua. Considerando che gli ultimi pezzi del nipote preferito di nonna Agatuzza (a proposito, domani all’Auxologico radiografia decisiva per valutare il futuro del suo scafoide) sono stati sui due milioni di caratteri, Max sta tremando. Per il numero zero di Hidegkuti Pier Luca ha trovato sul web uno stampatore moldavo molto serio con prezzi davvero ottimi (“Think glocal” ha spiegato alla moglie sedicente private banker che lo mantiene), l’idea è quella di uscire a fine giugno ed essere così la lettura per l’estate del quarantenne colto e sportivo, pirata e signore, micio e macho, scopatore e segaiolo. In ogni caso il primo long-form di Salvatore sarà su Gorgui Dieng, usato come puro pretesto per stilare una classifica dei migliori cento giocatori senegalesi della storia nei tagli dal lato debole. Comunque sempre meglio Salvatore che quel leccaculo carrierista di Salvatorino, che oggi sta dicendo a tutti di essere sempre stato renziano ed ha appena fatto stampare magliette con scritto 71%.

Certo chi sui siti dei grandi giornali la sfanga con titoli come ‘Sharon Stone, statuaria a 59 anni in abito di pizzo nero (con paillettes)’ e una photogallery sulle sorelle dei calciatori o Elettra Lamborghini, è mille volte più fortunato di lui che nella notte ha ricevuto da correggere un milione di battute dell’arrogantello  Ridge Bettazzi dall’accattivante titolo, provvisorio ma con minaccia di diventare definitivo, ‘Il sogno spezzato di Alfredo Magni’. Il miglior giornalista di denuncia mai prodotto da Pinarella di Cervia ha preso spunto dalla grande stagione della Spal per regalare al lettore di target alto di Hidegkuti un pezzo sulla Spal di venti anni fa, il cui gioco fece salire alle stelle il prezzo dei diritti esteri per la C1, anche se i poteri forti dell’epoca fecero di tutto per farla retrocedere in C2 e alla fine ci riuscirono. Nell’articolo, scritto nello stile del Buffa forse più arguto, quello del periodo di Storrs (le prime tracce rupestri di storytelling in Connecticut risalgono al 4.500 avanti Cristo), i resuscitati Happel e Michels vengono spediti in vacanza ai Lidi di Comacchio, con due valigie piene di videocassette sulla Spal 1996-97.

Il residence scelto ha le pareti di cartone e Michels dopo un quarto d’ora, innervosito per le braccia già divorate dalle zanzare, inizia a lamentarsi (“Qui è tutto una merda, stavamo quasi meglio a Foggia”) e così per tenerlo buono Happel lo spinge dentro il primo ristorante. Il servizio è piuttosto lento e così l’austriaco per evitare che Michels dia in escandescenze inizia parlargli degli schemi di Bianchetti e Magni, che mandarono in tilt quasi ogni avversario della qualitativa C1 dell’epoca. Sentendo il nome di Magni l’olandese finalmente si calma: se avesse potuto vedere prima del 1974 gli schemi del Monza di Magni, di sicuro in quel Mondiale avrebbe messo meglio l’Olanda in campo. Una cameriera piuttosto procace gli porta i cappelletti ferraresi ordinati, ma a Michels non vanno bene (“La moglie di Krol li cucinava meglio e ti assicuro che la sua cucina faceva cagare”) e mentre Happel mette una mano sul culo alla ragazza ordina un’anguilla marinata più, a parte, vongole di Goro. Piatti che però vengono portati da un tipo minaccioso, vagamente somigliante a Gallego, così i due santoni cambiano registro e iniziano ad esaltare Oriano Boschin, fra gli applausi a scena aperta dei presenti. Alla quindicesima bottiglia di Bosco Eliceo partono i cori di tutti contro Jongbloed e i bolognesi, che fanno cappelletti più grassi e pesanti di quelli di Ferrara. Totalmente ubriaco, Happel chiede dove sia l’agenzia della Tomasi Case perché vuole comprare un bilocale a pian terreno permutandolo con la sua villa in Carinzia.

Chiusura del pezzo con la solita citazione di Senad Gutierrez, tratta da un suo recente articolo su Explotadores y Explotados, che la settimana scorsa aveva in allegato un pamphlet di Saviano dal titolo ‘Perché chi arriva in Italia sui barconi è una grande risorsa nella lotta contro la camorra, Trump e Renzi’. Il poeta cileno-bosniaco ha voluto scrivere qualcosa per la festa dei lavoratori e ha ovviamente utilizzato quella Spal operaia: ‘Quando Putelli entrava in campo il Mazza vibrava perché tutti i lavoratori avevano trovato il condottiero contro gli egoismi della borghesia, quella che vuole difendere il suo miserabile trilocale comprato con mutuo quarantennale invece di ospitarvi venti migranti. La Ferrara di metà anni Novanta era davvero una piccola Rosario, piena di ponti e priva di muri. In ogni entrata di Pandullo c’era la gioia per la vittoria del’Ulivo, purtroppo in seguito Pandullo avrebbe pagato un prezzo salatissimo per la sua fede politica prodiana. Il tutto mentre Sgarbossa dimostrava che è possibile coniugare sinistra e libertà di espressione. Quanto a Gubellini, ha avuto una carriera in provincia soltanto perché il sistema dell’epoca preferiva burattini come Ronaldo e Shevchenko’.

In casa Budrieri le contrapposizioni politiche sono sempre molto aspre pur nel rispetto delle diverse posizioni. Ieri l’Erminia è andata a votare alle primarie PD insieme a Yannick (il cui permesso di soggiorno è stato fornito da Ping) ed entrambi non hanno avuto dubbi su Orlando, viste le sue parole in difesa delle Ong. La vittoria di Renzi, che entrambi hanno seguito nel salotto di casa Budrieri (il capofamiglia era a San Siro), li ha mandati in depressione ed anche D.J. John non l’ha presa bene visto che tifava Emiliano (“Lui sì che è un vero pugliese, non come Linus”). Di votare alle primarie del PD, erede di quelli che uccisero Craxi facendo credere che loro invece si finanziavano con le salamelle della Festa dell’Unità, l’orgoglioso Budrieri non ha mai avuto la minima intenzione. Meglio Crotone-Milan al Champions Pub, pur con la solita interruzione dall’America. Stavolta era Kevin: “Ciao Budrieri, oggi Lapadula impresentabile e Deulofeu ancora fermo con la testa al derby: cosa ne pensi? Mi piacerebbe sentire la tua analisi”. Era l’intervallo e Budrieri l’ha tutto sommato presa bene: “Ma cosa vuoi… una difesa Calabria-Zapata-Paletta-Vangioni non la vorrei nemmeno in un torneo aziendale. Noi siamo nelle mani di gente che non capisce un cazzo di calcio, voi nelle mani di gente che al calcio nemmeno è interessata: fra un anno il Milan lo si potrà comprare in tribunale. Mi dispiace, dovete ringraziare Berlusconi per le Champions ma anche per ciò che accadrà adesso”.

Finalmente Kevin è venuto al punto: “Parlo sottovoce, qui alla CIA siamo tutti spiati dai servizi deviati. Forse anche perché stiamo per riaprire il caso Pasolini. Ti propongo uno scambio, chiaro e alla luce del sole: tu ci procuri dieci Henry Lloyd originali del 1985 e noi ti mandiamo il dossier con il tuo vero padre e tutte le prove che possono servirti per esigere ciò che ti spetta. Katherine ci ha detto che se non reggi lo shock può venire a Milano ad aiutarti, detto fra noi credo abbia un debole per te”. I due agenti CIA (anche se Frank è rimasto silenzioso, con la testa già a Mbappé) erano convinti di avere fatto un’offerta irrinunciabile a Budrieri, ma la colonna dell’ATM dei tempi d’oro, quella con il 24 che andava da piazza Axum a Vigentino, li ha ancora una volta spiazzati: “Guardate che io so chi è il mio vero padre, l’ho anche incontrato una volta. Comunque Carlo Budrieri mi ha amato e per me papà sarà sempre lui, non l’uomo che ingravidò mia madre alla fine del ’44. Ma se volete mandarmi il file, magari con qualche prova a corredo, mi fareste comunque un favore. Nessun problema per gli Henry Lloyd, ovviamente, se scopate non sono invidioso. Anche se rimango convinto che una troia vi costerebbe meno”.

Mentre la bellissima e triste Lifen cerca di mascherare i lividi (appena sentono parlare di festa del lavoro i Tong diventano nervosi, manco fosse la festa nazionale di Taiwan) e di spiegare che le trattive per la Brexit rendono impossibile l’emissione di scontrini (“Difficile armonizzare i diversi sistemi”), Budrieri cerca di leggere la Gazzetta sul bancone della Sammontana ascoltando in sottofondo il Gianni, il Walter e il Franco analizzare una sconfitta più triste che dolorosa, per una squadra che da settimane non ha più una direzione. Intanto Ibrahim, Nabil e gli altri spacciatori maghrebini dal passaporto variabile, turbati per la Le Pen al ballottaggio (“Crediamo che il vero Islam, religione di pace, ben si coniughi con il liberalismo europeista di Macron”), cercano di tirare sera valutando se sia da uccidere prima un copto o un ebreo, e ridendo di Diletta Leotta senza trucco. Il vecchio socialista Budrieri non ha mai avuto simpatia per la Le Pen e nemmeno per il populismo, per questo appena sente concetti copiati dagli agonizzanti giornali come ‘Adesso usiamo queste quattro partite per valutare tutti i componenti della rosa’ getta per terra la Gazzetta spiegazzata che titola ‘NapOlé – L’Inter non c’è’ e di puro carisma affronta le teste più brillanti del Champions Pub, menti acute che passano le giornate a discutere delle prospettive di Caldara ma che riuscirebbero a risolvere il problema degli sbarchi entro il fischio di inizio di Monaco-Juventus se soltanto Minniti gli desse carta bianca. Anche se lui che in nerazzurro ha visto giocare Landini e Orlandoni non dovrebbe scendere sullo stesso piano di chi crede che l’Inter sia stata inventata da Pinamonti.

“Si poteva giocare anche tre ore e mai ci saremmo avvicinati a Reina. È ufficiale che Pioli non abbia più in mano questa squadra e non certo per motivi tattici: tutti singolarmente stanno facendo peggio del loro standard. Il Napoli ha stradominato, senza nemmeno forzare, poi il calcio non è uno sport serio e ha vinto solo per una cazzata di Nagatomo. Difesa totalmente da rifare, a prescindere dall’allenatore, rimango convinto che il resto non sia tanto peggiore di quanto abbiano a disposizione la Roma o lo stesso Napoli. Tre allenatori in una stagione, tutti e tre più che decenti per quanto non da Inter, dovrebbero avervi dimostrato che niente può cambiare senza una proprietà presente e che capisca un minimo di calcio. Pioli ha fatto bene a dimettersi a Firenze, è uno intelligente e ha già capito tutto: per dare una scossa ai giocatori Vecchi sarebbe stato meglio, adesso invece sarà un’agonia senza obbiettivi. Ausilio è uno da piccolo cabotaggio, che l’assenza del padrone ha trasformato in dirigente totale: è uno che preferirà sempre nove giocatori da 10 milioni a uno da 90. Poi non esiste che lo Zhang vero sia a Milano due giorni ogni tanto e soltanto per affari con i vari Cairo e Percassi: il fatto che questi cinesi siano solidi, al contrario di quelli del Milan, non significa che faranno meglio. Adesso vi esaltate per Oriali, ma qualsiasi novità dirigenziale senza un proprietario presente non ti porta lontano: provate a pensare a Galliani senza Berlusconi o a Marotta senza Agnelli. Gente da Monza o da Varese, massimo Sampdoria. Il proprietario non deve disegnare gli schemi e nemmeno occuparsi di calciomercato, ma capire chi può funzionare e chi no. Certo non si può pretendere che uno che vende frigoriferi in Cina sappia distinguere fra Brozovic e Matthäus, fra chi non sarebbe da Inter mai e chi lo sarebbe sempre, anche a su una sedia a rotelle. Mi ripeto: essere da Inter non significa essere bravi giocatori, nel mondo ce ne sono tanti e magari uno diverso da Ausilio saprebbe anche individuarli, ma bravi giocatori a cui non freghi un cazzo dell’ambiente intorno e che siano se stessi a prescindere da tutto. Matthäus era da Inter”.

(La versione riveduta e corretta dell’episodio sarà pubblicata a giugno 2017 con il libro cartaceo, se mai uscirà)

Avvertenza per i nuovi lettori: Non è da Inter trae ispirazione dalla realtà, ma non è la realtà. Chi lo ritiene volgare o si ritiene offeso può semplicemente non leggerlo.

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