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Prestiti alle aziende, perché in ritardo

Indiscreto 04/06/2020

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Come si fa ad ottenere i cosiddetti prestiti Covid per la nostra azienda o la nostra attività? Domanda legittima, visto che secondo la Commissione d’inchiesta sul sistema bancario i prestiti sopra i 25.000 euro erogati dalle banche sono circa un quarto, il 24,1%, rispetto alle 48.252 domande presentate. Mentre sotto i 25.000 euro, 559.139 domande presentate, la percentuale sale al 51,8%.

Bisogna ricordare che si tratta in ogni caso di prestiti garantiti dallo Stato, con i recenti decreti, quindi con un rischio imprenditoriale delle banche pari a zero o quasi. Questo non ha impedito situazioni incredibili, come quella del Monte dei Paschi, di fatto una banca nazionalizzata, che di fronte a 10.305 domande ricevute, più altre 2580 per la rinegoziazione di prestiti già garantiti in altra maniera, ne ha accolte in totale 39.

Venendo ad Intesa San Paolo, che ha fatto nelle scorse settimane notizia per il mega prestito di 6,3 miliardi all’anglo-olandese FCA, risulta che su 4.446 domande presentate per importi oltre i 25.000 euro ne siano state accolte 1.444. Questo non significa che tutte quelle respinte avessero i requisiti e siano state ingiustamente respinte perché il loro proprietario non si chiama Elkann, ma fa lo stesso impressione che tre quarti delle aziende in difficoltà si sia sentita rispondere di no ad un prestito ipergarantito: 100% fino a 25.000 euro, senza alcuna valutazione del merito creditizio (quindi a chiunque), 90% oltre. Perché?

La realtà di tanti imprenditori e professionisti di nostra conoscenza è sempre uguale: nessuna banca, tanto meno quella con cui di solito lavorano, gli dice chiaramente di no, ma quasi tutte fanno melina continuando a chiedere documenti ed aggiornamenti di documenti vecchi, in maniera irritante. In certi casi viene fatto capire, come accade di solito con i mutui per la casa, che sarebbe ‘meglio’ agganciare il finanziamento ad una polizza assicurativa o ad altri prodotti, ma in molti altri si cerca soltanto di prendere tempo.

Una spiegazione interessante del fenomeno l’ha fornita lo stesso Conte, quando ha ipotizzato che i ritardi potrebbero dipendere dalla paura di essere coinvolti dal punto di vista penale nel reato di bancarotta (anche solo bancarotta semplice, senza pensare a grandi frodi), e la psicologia di molti funzionari non solo bancari (prima regola: non avere grane) dice che potrebbe anche avere ragione: le banche, conoscendo bene alcuni loro clienti, sanno che con la liquidità aziendale qualcuno potrebbe avere in questa fase la tentazione di sistemare pendenze personali, privilegiare certi creditori, eccetera, e quindi la tirano in lungo.

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