Perchè Raiola
16 Settembre 2010
di Stefano Olivari
Le vere cifre dei procuratori, l’uomo del 2010, il gran rifiuto di Grosso, chi rappresenta Campana, i soldi di Coleen, Meazza milanista e la realtà di Mustacchio.
1. La recente polemica fra il quotidiano Marca e il procuratore dell’anno Mino Raiola (in pratica il quotidiano ha scritto che il contratto di Ibrahimovic con i catalani prevedeva un bonus di 100mila euro per Raiola ad ogni titolo conquistato e per vari obbiettivi personali di Ibra: totale un milione circa, più la commissione standard) spiega meglio di mille convegni perché il fair play finanziario rimarrà un’importante impostazione di principio di Platini senza però avere effetti pratici. Lo spiega perché non tutti i compensi percepiti dai calciatori e dai loro agenti risultano dai bilanci dei club, come invece è avvenuto in questo caso. Non stiamo parlando di soldi in nero, per i quali il discorso vale all’ennesima potenza, ma di compensi corrisposti nella legalità attraverso società esterne o anche attraverso lo stesso club principale ma attraverso artifici contabili. Facendo un esempio teorico, il Milan potrebbe pagare poco i giocatori per rimanere nei parametri Uefa (comunque operativi a pieno regime solo dal 2017) ma in contemporanea Mediaset potrebbe ingaggiare gli stessi giocatori o le loro mogli (o i loro agenti) come ospiti in trasmissioni tivù pagandoli a cifre fuori mercato. Questo nella legalità, figuriamoci cosa potrebbero escogitare (e cosa hanno nella realtà escogitato in passato) oscure società di provincia che si sono inventate ‘diritti di immagine’ per calciatori conosciuti solo nel loro condominio, con pagamento estero su estero. Tutto questo per dire che il fair play finanziario è possibile solo all’interno di una realtà dove evasione ed elusione fiscale sono perseguite seriamente. Poi qualcuno si chiede ancora perché la NBA non sbarca in Europa.
2. L’uomo mercato 2010 è senz’ombra di dubbio Mino Raiola, che al di là delle biografie un po’ sfottenti (come se gestire una pizzeria fosse un crimine) e snobbettine è nel calcio da una vita con diverse caratteristiche che piacciono alle società non solo italiane. a) Ha avuto ed ha nella sua scuderia quasi solo calciatori forti, da Nedved a Balotelli passando per Ibrahimovic; b) Ha da sempre buoni rapporti con Luciano Moggi, pur non essendo un suo burattino: una fama che non gli dispiace e che gli ha aperto molte porte; c) Non ha la targa di un club, come il Bronzetti della situazione, ma si fa guidare solo da considerazioni di convenienza; d) Non si limita, come la quasi totalità dei procuratori, a cavalcare lo scontento dei suoi assistiti (tutti sono capaci di dire ‘Voglio più soldi’), ma si presenta con la squadra potenziale acquirente già pronta. Un po’ procuratore e molto mediatore vecchio stile, insomma, con tutto quel che segue in termini di conflitto di interessi (ma questo è un problema dei suoi assistiti). Un talento non a caso scoperto da un grande cacciatore di talenti come Gianpaolo Pozzo. Una delle prime operazioni italiane di Raiola fu infatti il trasferimento di Elia Louhenappessy dall’Ajax all’Udinese. Altri suoi assistiti hanno fatto più carriera del molucchese o di Alonso Piola, improbabilissimo parente brasiliano del più noto Silvio portato in una delle prime Inter di Massimo Moratti, ma rimane il fatto che Raiola non si limita a creare problemi. Dà anche l’impressione di risolverli.
3. Il mancato scambio Grosso-Kaladze fra Juventus e Milan ha dimostrato ancora una volta che poche cose angustiano i dirigenti calcistici, almeno quei pochi che devono far tornare i conti senza scaricare la propria incapacità sugli azionisti, come i calciatori in scadenza di contratto. Con un anno residuo chi ha già una squadra dietro può pensare a una stagione morbida in modo da indurre il suo club a cederlo a stagione in corso per poco più di niente: non sarà bello dirlo, ma è la realtà anche per la maggioranza dei presunti ‘grandi professionisti’ (tutti grandi professionisti e grandi uomini, salvo poi far spuntare la pubalgia a seconda delle trattative in corso). Non a caso degli otto punti che la Lega sta discutendo con l’Associazione Calciatori quello dei giocatori in scadenza non farà titolo ma è considerato da Beretta e dai suoi suggeritori uno dei più importanti. La proposta della Lega è la possibilità di scambio alla pari o comunque di cessione, anche contro la volontà dei giocatori, se non c’è un abbassamento di categoria, ma anche possibilità di rescissione unilaterale pagando metà dell’ingaggio residuo. Essendo noi italiani, così come i consulenti dell’Aic, lo scenario che si prefigura è quello di contratti che di fatto varranno per un anno di meno rispetto all’ufficialità. Con l’effetto paradossale di trasferire sul penultimo anno di accordo i problemi che adesso riguardano l’ultimo. Una persona di media intelligenza osservebbe che sarebbe sufficiente ridurre la durata dei contratti, che nessuno è obbligato con un mitra a firmare un quinquennale.
4. Lo sciopero minacciato dall’Associazione Italiana Calciatori per la quinta giornata del campionato di serie A ha riacceso il dibattuto sulla rappresentatività di questo sindacato, che in passato ha avuto enormi meriti nel combattere battaglie di civiltà (dalla firma contestuale allo svincolo, passando per tante altre) ma che a qualcuno, non solo a Zamparini, sembra inadeguato al turbo-calcio del 2010. Quindi quale è la reale rappresentatività dell’AIC? Forse non tutti sanno che all’ultimo conteggio il sindacato ha 23 consiglieri, molti dal cognome prestigioso (Cannavaro, Albertini, Gattuso, Tommasi), ma che di questi 23 solo uno è straniero: si tratta di Ivan Ramiro Cordoba, da oltre un decennio all’Inter. 1 su 23 significa poco più del 4%: considerando che ci sono rose con più stranieri che italiani (l’Inter di Cordoba, per dirne una), si intuisce che l’iniziativa dell’AIC se sarà portata fino in fondo potrebbe portare ad una spaccatura in molti spogliatoi. Il precedente (e unico) sciopero concretizzatosi, quello del 16 e 17 marzo 1996, risale ad un’epoca che sembra preistorica: 3 stranieri a referto, fra quelli tesserati, più un’idea di ‘straniero’ ben diversa da quella diffusa oggi. Sarebbe pià trasparente se l’AIC si chiamasse ACI: Associazione Calciatori Italiani.
7. La scoperta mediatica di Mattia Mustacchio, dopo il gol decisivo al Galles con l’Under 21, è sorprendente perché arriva a meno di un anno da un Mondiale Under 20 giocato da protagonista. Firmando per l’Italia di Rocca l’impresa negli ottavi di finale contro la Spagna, con due gol, e risultando alla fine del torneo il migliore della squadra e uno dei giocatori tenuti in considerazione dai mille compilatori di classifiche del genere ‘saranno famosi’. Per la cronaca il Pallone d’Oro del torneo andò al ghanese Dominic Adiyiah, che dopo il Mondiale vero (in Sudafrica artefice, con un colpo di testa, del famoso rigore al 120’ per fallo di mano di Luis Suarez) è stato prestato dal Milan alla Reggina. Mustacchio, bresciano di Chiari (lo stesso paese del quasi coetaneo Alberto Paloschi), dall’estate scorsa è totalmente di proprietà della Sampdoria, che lo ha prestato al Varese, e potrebbe diventare il prossimo pretesto del tormentone ‘L’Italia non è un paese per giovani’ lanciato da Arrigo Sacchi (solo 64 anni). In 30 presenze, fra A e B, i gol dell’attaccante sono stati in totale…zero. Vanno valutati i pochi minuti a partita (all’Ancona l’anno scorso una ventina, di fatto era la riserva di Colacone) e le poche presenze (due!) da titolare, ma queste sono le statistiche di uno dei giovani italiani più promettenti.
(post già pubblicati sul Guerin Sportivo)
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