Perché la NBA fa schifo

15 Gennaio 2020 di Stefano Olivari

Perché non ci piace più la NBA? Diciamo pure che ultimamente ci fa schifo, da cambiare canale dopo 5 minuti. Proprio adesso che è piena di giocatori europei, addirittura italiani poi… Una possibile spiegazione ce l’ha data Kirk Goldsberry, analista del gioco per ESPN ed in passato studioso di tendenze per la nazionale statunitense e i San Antonio Spurs.

Goldsberry ha pubblicato la mappa di tiro della NBA nelle stagioni 2001-2002 e in quella attuale, con risultati che qualsiasi appassionato di almeno 30 anni di età poteva facilmente prevedere. In sostanza è sparito il tiro dalla media distanza, sia frontale sia dagli angoli, con le principali due opzioni per gli attacchi che sono il tiro di tre e quello da sotto, ma veramente sotto (la ormai proverbiale schiacciata con il difensore più vicino a tre metri).

Insomma, niente che già non fosse chiaro guardando le partite, soprattutto di stagione regolare, senza gettare la croce sui soli Harden e D’Antoni, comunque icone dell’antibasket (nemmeno vincente, oltretutto). Interessante sarebbe capire perché, con regole quasi uguali e cambiate, in quei pochi casi, in direzione favorevole agli attacchi (al di là del passo zero, si pensi soltanto alla lotta all’hand-checking, iniziata nel 2004: senza le mani addosso del difensore Jordan avrebbe avuto una media in carriera di 60 punti a partita?), il gioco sia cambiato in maniera così radicale.

Facendo disamorare gli amanti della pallacanestro, anche per arbitraggi sempre meno tecnici, e attirando un nuovo pubblico più di bocca buona, che mentre aspetta la maglietta sparata da un proletario sottopagato capisce solo un tiro scagliato da 8 metri o una schiacciata demente seguita da taunting. Essendo però la NBA un’azienda l’unica domanda che conta è questa: i conti tornano?

La risposta è sì. Anche se gli ascolti televisivi della stagione regolare sono in netto calo: quelli delle Finals ai picchi della rivalità Warriors-Cavs erano due terzi di quelli di fine anni Novanta e inferiori rispetto all’era Bird-Magic. Biglietti e indotto delle partite dal vivo, per non parlare del marketing, fanno sì che il salary cap attuale sia di 109,140 milioni di dollari, mentre nel 2001-2002 era di 42,5. Insomma, una lega che piace sempre di meno al pubblico generalista (quello delle Finals) e agli appassionati del gioco, ma che ha una fanbase molto motivata e disposta a spendere cifre importanti in stupidaggini.

Per noi che nel 1981 ci siamo azzuffati per un gagliardetto dei Kansas City Kings (il nostro mito di cresciuti con Superbasket era Scott Wedman, che all’epoca avevamo visto giocare per un totale di un minuto) un dolore immenso, che potrebbe sparire con l’abolizione del tiro da tre punti e quella contemporanea dei tre secondi difensivi, che renderebbero ugualmente importanti le varie zone del campo. Favorendo i giocatori veri, non i tamarri da campetto o i campioni di tiro al piattello.

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