Perché i Benetton godono di buona stampa

17 Agosto 2018 di Stefano Olivari

La tragedia di Genova ha avuto analisi ingegneristiche, penali e politiche di ogni tipo, superiori alle nostre competenze, mentre dal punto di vista mediatico brilla per la sua assenza dal mainstream il nome degli azionisti di controllo di Autostrade per l’Italia, cioè la famiglia Benetton. I più coraggiosi hanno detto Atlantia, come se il telespettatore tipo conoscesse a memoria l’azionariato di ogni società quotata… Chiaramente non inseriamo nei media che spostano le masse il Fatto Quotidiano e la Verità, unici giornali a richiamare i Benetton alle loro responsabilità: non si può paragonarli a Corriere della Sera e Repubblica, per non parlare dei tg nazionali. Veniamo al punto: perché i media stanno, con rarissime eccezioni, trattando in maniera morbidissima i Benetton mettendo in campo sia i giornalisti-silenziatori sia i garantisti alle vongole?

La risposta più banale e forse anche più vera è che i Benetton inondano televisioni e giornali italiani di pubblicità: decine di milioni ogni anno solo per il loro marchio familiare, che ne fanno uno dei principali investitori. Senza contare Autostrade e il resto. Discorso che potremmo fare anche per Fiat-FCA, banche, assicurazioni, grandi aziende parastatali tipo ENI e ormai anche gli over the top della rete: i giornalisti che scrivono di Apple e Amazon, tolto qualche anziano non più al passo con i tempi, sembrano groupie bagnate. Avete mai letto di uno che si è ammazzato perché i freni della sua Cinquecento non hanno funzionato o di un altro a cui il consulente Unicredit raccomandava caldamente obbligazioni Lehman Brothers il cui collocamento era curato da un’altra banca del gruppo? Quasi tutte aziende in attivo, ma non è il caso della Benetton propriamente detta, quella dell’immaginario collettivo (la Benetton dei maglioni e delle magliette, insomma), che secondo il suo stesso fondatore Luciano va piuttosto male. E infatti lo scorso anno i vecchi sono tornati al comando, con la generazione più giovane (tipo il figlio di Luciano, Alessandro, marito di Deborah Compagnoni e presidente di Cortina 2021) relativamente dispersa.

Ma noi siamo poco ambiziosi e amiamo rimanere nell’orticello sportivo. Dove del crollo del ponte e dei 38 morti si è parlato tanto, non soltanto per il rinvio di Milan-Genoa e Sampdoria-Fiorentina, ma anche per non sembrare totalmente staccati dalla realtà. Nei media sportivi la parola Benetton, non per colpevolizzare ma solo per dire chi sia il concessionario di quell’autostrada con onori e oneri del caso, è stata pronunciata da pochi e soltanto sottovoce. Sarà stata l’onda lunga delle tante sponsorizzazioni multisportive e delle tante iniziative paraculturali finanziate dalla famiglia a Treviso e non solo a Treviso, rivelatrice della doppia anima del gruppo, globale (marchio con ambizioni internazionali, ma rimasto in fascia bassa) ma anche locale. Così viene naturale ancora nel 2018, anche a quelli in buona fede, parlare dei Benetton come di quelli dei maglioni e del rugby, delle magliette e di Kukoc-Del Negro, di Oliviero Toscani (distintosi anche nelle ultime ore, altro che noi poveri marchettari) e di Schumacher, anche se il tessile è in perdita e dallo sport i Benetton sono quasi scomparsi. Il giornalista sportivo si compra con poco: una cena, un po’ di considerazione, quella familiarità da megadirettore naturale che inorgoglisce Fantozzi. I business trainanti sono altri e Autostrade per l’Italia è uno dei principali.

Diverso il discorso sulla proprietà dei giornali: fino all’anno scorso sono stati azionisti del Sole 24 Ore e sono tuttora azionisti di RCS (quindi Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport) attraverso Mediobanca dopo esserlo stato per anni direttamente, ma la pubblicità supera nel mondo di oggi anche una quota azionaria. Ben posizionati a sinistra e con quella che al di là delle denominazioni rimane la vecchia sinistra democristiana (dovrebbero erigere un monumento a Prodi e Letta), hanno condotto molti affari insieme a Berlusconi e quindi si capisce la riluttanza dei media berlusconiani, già riposizionati in chiave antipopulista, nel dare facce e nomi non diciamo ai colpevoli della tragedia ma almeno ai gestori del ponte. Chiaramente parliamo dei Benetton come holding familiare e non come singoli, visto che sono la metà di mille: dai quattro fratelli che hanno fondato l’azienda (di recente è morto Carlo, il più giovane) alle nuove generazioni fino al management più o meno legato alla famiglia. Conclusione? La mitica pancia del paese è in questo caso allineata con le sue presunte élite, fa fatica ad ammettere di essersi sbagliata di grosso.

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