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Basket

Paura del boa

di Oscar Eleni

Pubblicato il 2013-04-29

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Oscar Eleni dall’osservatorio di Pontfadog, villaggio del Galles, dove in molti piangono la morte dell’albero più  vecchio del mondo, una quercia che aveva resistito a tempeste, incendi e battaglie dall’802 dopo Cristo. Ora non ci resta che venerare l’abete rosso di 9.500 anni che vive ai confini fra Svezia e Norvegia, cercando di non confondere le nuvole con la pioggia, facendo finta di credere che il basket malandato vive alla grande, con programmatori che sprecano il primo maggio lontano dal calcio e s’imbesuiscono con le contemporanee delle ore 20. Certo meglio del volgare 20.45 post ruttino, ma pur sempre disagio, costo aggiuntivo per chi non ha tanti occhi per piangere. Ehi, ti stai allineando su viperignu Costa? E allora? Nelle sue scorribande cestistiche per il Carlino ci azzecca spesso, sublime l’accostamento di Trinchieri a Marzullo sui sogni e banalità da crittogramma, sarà perché non ha più avuto un castagno cestistico da amare come Anna Frank dopo il distacco della rètina bolognese che non vede più oltre basket city e pensa che tutto inaridisca. No. Esistono terre fertili e Varese lo dimostra con la sua corsa, il suo consorzio, le sue idee sull’oggi e sul domani.

Dal Galles alla caserma Santa Barbara di Milano per aggregarsi ai volontari nella ricerca del serpente boa scappato da casa, un rettilone soprannominato Sergio Scariolo dagli avversari dell’avvocato che ora temono davvero di trovarlo bello tosto nello scarico della loro stagione e con una squadra da titolo nel momento in cui sul tavolo può rilanciare solo chi ha tanti dobloni da spendere. Ehi, il boa fa paura anche a voi denigratori che fate impazzire il ruffianesimo imperante. Può darsi. Emporio Armani alla caccia del titolo che manca dal 1996 con un copione più o meno simile se, dando sempre ragione  all’osserrvatorio sugli Asinelli, Scariolo, come lo era il Tanjevic che lo infilzò con la Stefanel, sembra separato in casa dove hanno altri progetti per allenatore e consigliori, anche se un titolo stira i vestiti anche più stropicciati nascosti nel retrobottega dell’Emporio del Proli che ora si lecca i baffi immaginari perché maggio gli porterà il fiore della vendetta sotto il tasso di Cesare al villaggio belga di Lo, quello dove lui lo diceva che tutti sarebbero andati a Canossa perché, prima o poi, mettendoci tanti soldi, qualcosa uscirà dalla miniera. Ti rode che vinca il Livio? Non vince lui, né la sua idea di società. Vincerebbe, casomai, o capitale  per il capitone.

Il caso e l’incuria dei nemici stanno preparando un finale come sognato: ogni nodo si presenta al pettine per essere rosolato. Ehi, calma. Milano strafavorita, ma dovrà pur andare a prendersi il titolo, in semifinale, sul campo della Varese prima in classifica dopo 25 anni, prima dall’inizio alla fine e con un 3-0 sull’Emporio dei peccatori autunnali, invernali e primaverili. Verissimo. E poi questa Siena che ricapita sulla strada sarà così facile da battere? No, se pensiamo alla squadra che ha vinto, soprendendoci tutti, la Coppa Italia, ma da quel giorno sono passati troppi portatori di sventura e di acido lattico, per cui di quel gruppo non riconosci quasi più nessuno, cominciando dal claudicante Ress, dal nervosissimo Hackett che cambia agente, dal vanitoso Brown che te la spiega e te la gioca sempre  e soltanto alla sua maniera, fai fatica a capire chi sono se il Banchi scarioleggia, trinchiereggia, dicendo che, finalmente, è arrivata una vittoria in trasferta a Porto San Giorgio contro la Montegranaro che ha fatto piangere tanti ricchi beoni, una squadra dove il grande capo allenatore, giustamente, fa sapere ai dirigenti che la protezione Recalcati è finita. ”Adesso – dice il micione di Giovanna la pasionaria – non bastano più le chiacchiere”.

Insomma resta il mistero sul tipo di Siena che troverà Milano nelle sfide che dovrebbero portare alla semifinale, anche se resta l’incognita di Forum come ostile arena per i ballerini di don Sergio. Semifinale con chi? Di grazias, si pensa con una Varese a cui non dovrebbe essere indigesta la Reyer. Ma, attenzione, liberati dall’angoscia della stagione carnevalesca, delusione massima, ripresa grande, altra mezza crisi, salto finale decente, questi uomini di Mazzon se si ritroveranno nella stessa osteria possono diventare pericolosi.

Più difficile vedere una candidata al titolo nell’altra parte del tabellone perché Sassari ha fatto altri miracoli, si è pure rinforzata, ma con quella difesa  non  dovrebbe reggere scontri ravvicinati. Certo resta da vedere cosa ha visto Alberani, il manager della Roma riedificata dietro al Colosseo in pezzi della banca Toti, viaggiando per l’Europa cercando rinforzi per una squadra che può sognare più di Reggio Emilia, pure straordinaria, ma con cali d’umore comprensibili, e della stessa Cantù che resta l’albero di Buddha nato da un seme di fico e coltivato così male che adesso il suo allenatore e guru, la sua presidentessa diventata braccio destro di Petrucci in federazione, non capiscono più. Insomma, siamo vicino al caso clamoroso degli sherpa che inseguono e picchiano gli alpinisti. Diteci voi: cosa doveva fare Calvani per trovarsi sul tavolo un rinnovo contratto già a gennaio? I pesci puzzano sempre dalla testa, quelli per i poveri, ma, soprattutto, quelli da servire sul tavolo dei ricchi che non badano a spese pur di avere la gioia di trovare rubini nello stomaco dello storione.

Pagelle arboree schivando i pugnali e le bastonate su questa montagnetta che noi confondiamo con l’Himalaya perché circondati da tanti allenatori saccenti che ce le cantano e ce le suonano in attesa che torni all’organo dell’altar maggiore il Simone Pianigiani ottimista capace di vedere il futuro in rosa perché Bargnani lavorerà con Cuzzolin a bordo ring di Azzurra e Belinelli  tentenna. Gli servirebbe il gran diniego dei putei NBA per spalancare la porta nel ruolo di guardia e ala ai ragazzi italiani che sono andati benissimo in questo campionato.

A proposito di Italia da destare, sembra che finalmente Caja sia entrato nello staff azzurro e questo ci consola quando vediamo che non è più a spasso gente che lavora bene, o vediamo all’estero gente come Boniciolli, Messina e Lardo che dovrebbe avere casa proprio qui da noi, adesso che la Grecia sta misurando e pesando il Trinchieri incapace di capire giocatori che interpretava così bene nei momenti dello splendore. Facile dire che i problemi nascono dalla mente, ma anche a Cantù è cominciata la solfa degli allenamenti perfetti che non trovano riscontro sul campo. Una epidemia per i festivi, una maledizione per lavoratori meravigliosi nel feriale che si perdono al momento della comunione.

Pagelle oltre l’olmo della sopravvivenza.

10 Al CROSARIOL che sta finendo la stagione pesarese quasi meglio di come l’aveva iniziata. Merito di Zare il paziente, ma merito anche suo per smentire chi, come noi, lo ha sempre visto come centro disgregante di un gruppo. Ora Markovski lo propone per la Nazionale nuda al centro dopo aver  visto Cusin sgonfiarsi nel tempo e Cervi fermarsi sul sentiero  che porta all’emancipazione. Coi lunghi si deve aver pazienza. Ai tempi della quercia del ponte dei cani avevamo compagni lunghi che dovevi pregare in ginocchio per vederli all’allenamento e che poi sono andati avanti a giocare ben oltre i 40 anni. Maturano tardi. La memoria del gesto li aiuta a perdere il senso d’angoscia che si ha stando nel famoso pitturato dei menestrelli televisivi.

9 Al MAHMUTI allenatore dell’Efes Istanbul che non ci ha messo molto a mandare  al diavolo il delizioso ex fidanzato della Sharapova che a Udine conoscono bene e a Los Angeles hanno persino apprezzato. Non si tollerano i giocatori con la bazza unta, quelli che non tengono mai conto di servire e di venire pagati per vincere  con una squadra. Meglio eliminati che umiliati. Lo avevamo apprezzato nel breve viaggio italiano fra le ombre e il Prosecco. Ora siamo convinti di avere conosciuto un hombre davvero vertical e non è poco per chi corre inseguito dagli sherpa come tanti suoi colleghi nel mondo, non soltanto in Italia.

8 Al BECHI riapparso sull’Ararat della Virtus bolognese perché sta finendo bene un compito davvero difficile, anche se stimolante, con tutti quei talenti da valutare  e lanciare tenendo lontasno l’agente famelico. Per il Sabatini e le sue ragnatele una bella scelta, certo migliore di molte fatte negli anni del tormento e della pochissima estasi, anche se ci sono state finali scudetto col Markovski che era il suo vero guru e da cui si è separato senza spiegarci davvero il motivo, almeno così dicevano nel pensatoio sotto la curva San Luca. Il Sabba, che lascia vedove inconsolabili sui desk, come sceneggiatore per lo spettacolo basket nella città che lo amava oltre la Sala Borsa, merita almeno due palme d’oro perché ha fatto un capolavoro uscendo, facendo capire che il futuro della fondazione Virtus potrebbe andare a Bonamico e Villalta, i due grandi nemici dell’epoca d’oro porelliana che costrinsero  il loro mai dimenticato presidente a separarli, cedendo addirittura il primo alla fintamente odiata Milano a cui aveva già regalato Peterson. Un colpo di teatro per alimentare il guazzo sotto i  portici e non solo all’angolo degli stupidi che vanno a cavallo e spolpano la mente oltre ai giornali.

7 A Gigio GRESTA il grande muratore che ha portato Cremona alla salvezza, che ha ridato sorriso a quasi tutti, speriamo anche a quelli che ora chiedono, come sempre, aiuti per continuare, che ha chiuso la stagione con una bella frase: “ Dispiace mettersi in tribuna perchè era divertente allenare i ragazzi di questa squadra”. Magari capitasse a tutti.

6 A Joe ISAAC che ci ritorna in mente perché 25 anni fa era  lui il generale della Varese prima in classifica. Il grande Joe che faceva sognare l’altra Milano, che ha vissuto da grande gatto delle piramidi egiziane, simpatico, altruista, adesso chiede a tutti di non dimenticare le insidie del primo posto, della vita, come succede magari al suo amico Yelverton in un mondo con poca memoria. Charlie suonava il sassofono per la grande Varese, lo ha fatto ascoltare al mondo intero e ha saputo anche insegnarlo. Isaac chiede di ricordare che primi alla fine di sei mesi in lotta non vuol dire godersela nella mattanza del play off allungato che propone il massimo in poco tempo.

5 Al PETRUCCI silente che non ci fa vibrare nel momento in cui i dirigenti, di ogni categoria, cominciano la questua per poter iniziare nuove stagioni e le Leghe scoprono la loro endemica impotenza anche davanti alle televisioni morose. Si agiti per far capire che non ha subito il colpo Malagò, il colpo della nuova formula del campionato che tutti stanno criticando e nessuno sta interpretando. Azzurra in diretta su quali canali, la Rai tiene chiusa o aperta la porta da dove sembra uscire, purtroppo Sport Italia.

4 Ai LAKERS e Mike D’ANTONI che se na vanno umiliati dai play off NBA. Non ne potevamo più di sentirci accusare di partigianeria perché sentivamo così bene il popolo Olimpia che chiedeva a Scariolo di andarsene, prima della cura Green-Mensah, e facevamo finta di non udire il popolo gialloviola che dal primo giorno urlava chiedendo il ritorno di Phil Jackson. Caso curioso che unisce nelle pagelle l’allenatore  dei grandi anelli e Joe Isaac. Nei primi anni Gazzetta ci mandarono per la candidatura di Denver ai Giochi invernali e per una inchiesta sul sport pro americano e ci viene in mente che aspettammo Jackson fuori dal Garden perché, anche se giocava poco coi Knicks, ci piaceva come persona, mentre con Isaac, uscito dal delirio in giallorosso milanese, sfidammo il  Bronx e lui ci protesse dal taxi al suo appartamento.

3 Al BUCCHI che non gustò il piatto della vendetta e apparecchiò la tavola per l’Armani più angosciata alla fine del girone d’andata e ora si trova con il tavolo in pezzi nel giorno in cui la sua società ha giustamente accompagnato sulla porta, con tutti gli onori, il Santi Puglisi che, da tempo, aveva detto a dirigenti e allenatore che molti dei ragazzi senza energia dovevano essere portati non alla porta, ma alla fonda. Non lo ha fatto e ora danza fra i cocci anche nell’isola della salvezza che è pure una impresa per squadre neopromosse. Ma c’era solo una botola.

2 Al CINISMO che ci impedisce di salutare come si deve il POPOLO di Biella che ha  scortato dignitosamente verso l’uscita la sua squadrta di basket, risparmiando randellate da sherpa agli alpini  che hanno  organizzato questa cordata per una stagione di scelte tutte fallimentari. Biella e chi la ama meritano che ci sia presto una soluzione per riavere in serie A loro, così come Treviso o la Fortitudo Bologna.

1 Al TEOFILI che, come FACCHINI, valuta e pesa gli arbitri, perché vederlo al tavolo mentre prende appunti dopo ogni fischio fa venire i brividi e l’angoscia, più ai giudicati che a noi pettegoli. Sarà un lavoro necessario, sarà tutto giusto, ma forse sarebbe meglio stare al riparo, parlare e spiegare, costruire e non lasciare dubbi. Lavoro meritorio della coppia, ma attenti al sale sulla coda.

0 Al truzzo ARADORI, alla sua barbetta inguardabile, perché se insegui un arbitro come ha fatto lui con Bartoli, se  anche soltanto lo sfiori, e lui non lo ha soltanto sfiorato, allora vuol dire che questi anni di apprendistato non ti hanno insegnato tanto. Doveva capirlo a Milano, non è riuscito a comprenderlo a Siena, si è adattato alla caserma Italia perché sapeva di non avere alternative pur tenendo sul gozzo il Pianigiani che spesso lo ha trattato malino, ha ridato entusiasmo a Cantù, salvo qualche tuffo nel gelo, ma poi ha cominciato a non capire più lo spartito e adesso è un altro di quelli che ci raccontano di allenamenti super e di partite schifezza. Bah.

Oscar Eleni, lunedì 29 aprile 2013

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