Oro Incenso & Birra e la musica che non c’è più

14 Giugno 2019 di Paolo Morati

Oro Incenso & Birra

Il 13 giugno 1989 era un martedì e noi con la nostra bicicletta ci recammo di buona mattina in quel di Corso Magenta a Milano per acquistare un disco appena arrivato in negozio dal distributore. Consegnate in cassa le 13.000 lire messe da parte nel mese precedente, inforcammo di nuovo la nostra fida due ruote nera con il sudato acquisto (altro che streaming), ovviamente in versione vinile, alloggiato in una busta di plastica appesa al manubrio.

Ci sono dischi che di fatto segnano una vita, e che a distanza di decenni scatenano tanti ricordi, e nel nostro caso tra questi c’è appunto Oro Incenso & Birra di Zucchero, oggi festeggiato con una ripubblicazione in più versioni e bonus. Un album che ha fatto la storia della musica italiana, all’epoca vendutissimo (quando di dischi, appunto, se ne vendevano tanti), costruito in modo pressoché perfetto.

E un album rischioso, arrivato dopo la sbornia di Blue’s di due anni prima, dalla immagine iconica, quando ancora si lavorava sulle copertine, tra sacro e profano, ripresa dalla fodera del soprabito indossato da Zucchero anche nel booklet interno e nelle sue apparizioni televisive. E poi diventata simbolo di tutto quanto ruotava attorno ad Oro Incenso & Birra, magnifico tour compreso.

Musicalmente ricco, pieno di quei riferimenti al passato e di sue rielaborazioni, marchio di fabbrica di Zucchero (le polemiche sul citazionismo ci appassionano poco), ascoltandolo oggi mentre scriviamo, ovviamente ancora rigorosamente nella versione vinile d’epoca, Oro Incenso & Birra si conferma un album solido di un periodo che non c’è più, in cui un italiano poteva permettersi di produrre con una mentalità internazionale cambiando totalmente il suono grazie alla mano ed esperienza di Corrado Rustici, sì, ma non solo.

Nella sostanza, elemento fondamentale di Oro Incenso & Birra era anche l’idea di mettere la voce di Rufus Thomas in apertura, di coinvolgere in studio la chitarra di Eric Clapton, l’organo di Jimmy Smith e il sax di Clarence Clemons, fino alla composizione di Ennio Morricone, per costruire dei piccoli particolari capaci di fare la differenza, su un impianto già comunque perfetto di musicisti da dieci in pagella, molti dei quali portati poi anche in tour. Oltre alla scelta di farsi accompagnare, anche sul palco, da un alter ego femminile come Lisa Hunt, per la quale il ruolo di corista era sostanzialmente stretto.

E ovviamente, oltre alla voce di Zucchero (uno che sa cantare), c’erano le canzoni di Oro Incenso & Birra, con testi alternati tra euforia e disperazione, innestati su un impianto sonoro ancora una volta esplosivo, un mix di generi difficilmente inquadrabile in un’unica categoria. Molti tireranno magari fuori canzoni simbolo come Diavolo in me o Diamante, ma per noi il brano perfetto era (ed è) Iruben me, capace ancora oggi di evocare in modo drammatico il senso delle relazioni della vita, anche grazie a quel tiratissimo solo di chitarra finale che, così come quando avevamo 18 anni, ancora oggi fa sempre (fortunatamente) male.

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