Origin, la religiosità di Blake

20 Febbraio 2018 di Indiscreto

È più spocchioso chi non legge Dan Brown o chi lo legge? Ce lo siamo chiesti ben prima di terminare la lettura delle 550 pagine di Origin, il monumentale ma non troppo (per gli standard americani) ultimo libro dell’autore del Codice Da Vinci, di Angeli e Demoni e di Inferno. Notevole è stato infatti il numero di non spocchiosi o di neo-spocchiosi (quelli che rivalutano Lino Banfi e Bombolo dopo averli a suo tempo disprezzati) che ci hanno confessato la loro passione per questo romanzo, scritto in maniera prevedibilmente piatta, con personaggi nemmeno troppo affascinanti (su tutti il Robert Langdon già utilizzato nei libri prima citati e anche ne Il simbolo perduto) ma anche, è evidente, con grandi ambizioni. Religione, scienza, tecnologia, politica, intelligenza artificiale, storia, controllo dell’informazione: i temi che Brown mescola con sapienza fanno dimenticare lo stile basic e la trama, nemmeno tanto intricata.

L’azione è ambientata in Spagna, dove Edmond Kirsch, imprenditore geniale e molto simile ad Elon Musk, intende presentare una scoperta che a suo dire rivoluzionerà il rapporto fra gli esseri umani e le religioni rispondendo alle due domande fondamentali. Da dove veniamo? Dove andiamo? Prima della presentazione al Guggenheim di Bilbao Kirsch avvisa un importante esponente cattolico, il vescovo Valdespino che fra le altre cose è consigliere del re di Spagna, uno musulmano e un rabbino. Da lì in poi la situazione precipiterà, per Musk, per Langdon, suo ex professore invitato a Bilbao alla presentazione, e per Ambra Vidal, direttrice del museo e promessa sposa del principe Julian, erede al trono di Spagna. Va precisato che i reali di Spagna sono volutamente immaginari, in Origin il vecchio re è timorato di Dio mentre questa non è esattamente la filosofia di di Juan Carlos, mentre qualche analogia in più c’è fra Felipe (ora il re è lui)-Letizia Ortiz e Julian-Ambra, ma comunque funzionale al racconto.

Brown ci risparmia le scene di sesso, del resto mai si presenta anche solo la situazione giusta, e già solo per questo andrebbe premiato. Da grande professionista ricicla la tanta letteratura su robot e robottini umanizzati nell’intelligenza artificiale di Winston, co-protagonista del libro, inoltre usa le citazioni soltanto quando sono funzionali alla storia, come nel caso di Blake. Va insomma dritto alla sua tesi, che non è il consolatorio ‘Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa, che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa’ o l’ottuso ateismo versus bigottismo, ma che la scienza in pochi anni darà agli umani possibilità tali da renderli indifferenti alle strutture e ai dogmi religiosi creati dagli umani stessi per funzioni di potere o di controllo sociale. Indifferenti alle gerarchie del passato ma non al bisogno della religione o comunque di risposte, come la parte sul brodo primordiale (pare Pazzaglia) fa chiaramente intendere. Una religiosità fondata sulla natura e sul rispetto (ma i numerosi lettori shintoisti di Indiscreto potrebbero dirci che esiste già), dove la ragione umana è pura manifestazione del divino: tutto questo è spiegato bene nella parte sulla Sagrada Familia, non a caso incompiuta, opera del cattolico Gaudì. O in una citazione di Blake (“Se le porte della percezione fossero sgombrate ogni cosa apparirebbe come è, infinita”) che onestamente ci è rimasta in testa solo grazie ai Doors e che Brown non fa, ma che in certe pagine quasi viene suggerita. Meglio l’ideologia browniana rispetto alla storia, ribadiamo, storia che presenta anche colpi di scena alla Chiquito e Paquito in salsa LGBT. Insomma, non siamo stati folgorati sulla via di Dan Brown ma questo è un libro scritto da uno che rispetta molto i lettori e che ha ancora grande ambizione.

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