Calcio
Occhi e manette
Stefano Olivari 16/05/2010
di Stefano Olivari
Cinque scudetti consecutivi, perchè il primo dei cinque è uno scudetto che deve essere assegnato (magari alla Roma o al Chievo, a scalare) con buona pace dei mafiosi e dei loro giornalisti raccomandati. Cinque scudetti diversi.
Il primo indennizzo di Calciopoli, il secondo con poca opposizione ma con i campioni d’Europa di quella stessa stagione staccati di 36 punti (28 reali più gli 8 di penalizzazione), il terzo all’ultimo respiro con i tormenti di Mancini e i colpi di Ibrahimovic, il quarto in scioltezza contro tutte le avversarie a pieno regime, il quinto dopo una lotta appassionante con squadre inferiori come rosa ma spinte in vari modi dai tre quarti di d’Italia che non tifano Inter.
Ci fermiamo qui, perchè la celebrazione non è purtroppo nelle nostre corde, sottolineando che la vera notizia dell’ultima giornata di campionato è che a Siena si sia vista una partita vera. Messa in campo in maniera prudente da Malesani, la già retrocessa squadra di Mezzaroma ha onorato il calcio al contrario di quanto abbia fatto mezza serie A negli ultimi due mesi. Prudente come in uno spareggio salvezza, ha rischiato addirittura di passare in vantaggio e non ha risparmiato le entrate da dietro che erano necessarie per colmare il gap tecnico. Non ci sconvolgono i premi a vincere, in un mondo pieno di quelli a perdere.
Morganti arbitro anti-complotto, questo bisogna dirlo proprio nei momenti del tipo ‘abbiamo vinto contro tutti’: non ha dovuto decidere su niente ma la sensazione è che non avrebbe per alcun motivo al mondo espulso qualcuno o assegnato un rigore. Il vero merito odierno dell’Inter è stato quello di non perdere la testa quando si è accorta che non c’erano tappeti rossi (come il 5 maggio di 8 anni fa all’Olimpico), ma di continuare a giocare palla a terra mettendosi nelle mani degli uomini di maggiore personalità. Giocare nemmeno tanto bene, con Sneijder meno ispirato del solito, ma in maniera comunque sufficiente a battere una squadra di rango inferiore senza per questo dover gridare all’impresa.
L’impresa è stata reggere una pressione enorme, evitando l’alibi della Champions League e quello ancora più insidioso dell’appagamento. In questo senso cambiare qualche titolare ogni anno non è sbagliato: Stankovic era contentissimo, ma Milito (unico trofeo alzato prima di quest’anno un Apertura con il Racing di Avellaneda) piangeva. La vita è adesso, domani sarà gia troppo tardi, e adesso c’è l’Inter: gli occhi di Milito e le manette di Mourinho.
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