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Nessuna lacrima per Donadoni

Stefano Olivari 24/06/2008

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Quando tornarono dal Messico, nel 1970, Ferruccio Valcareggi e gli azzurri furono accolti all’aereporto di Roma da un fitto lancio di pomodori e uova. Di quella nazionale, di cui è passata alla storia la mitica partita con la Germania Ovest, facevano parte, tra gli altri Gigi Riva, Giacinto Facchetti, Boninsegna, Burgnich, Domenghini e via di seguito per una formazione che è finita non solo sulla bocca di tutti coloro che seguirono quei Mondiali, ma anche di molti giovani di oggi che amano il calcio. Ieri è tornata a casa da Vienna quell’Italia, sconfitta per la prima volta nella sua storia dalla Spagna. L’ha accompagnata l’indifferenza, insieme a un Donadoni spaurito e incapace di assumersi le proprie responsabilità tanto da sgattaiolare da una porta secondaria. Ha detto il tecnico che non ha nessuna intenzione di dimettersi. Sarebbe sciocco se lo facesse. E non tanto e solo per una questione economica, visto che le dimissioni comportano la simultanea rinuncia agli emolumenti, quanto perché davvero crede di essere incolpevole. E ne ha tutte le buone ragioni. Non è stato lui a proporsi come Ct, non è stato lui a sbandierare un curriculum ottimale da calciatore ma misero da tecnico. Ha solo accolto l’invito del suo ex compagno di squadra Demetrio Albertini, magari suggeritore occulto delle alte sfere del comando della nostra Federazione. Adesso siamo tutti scatenati contro il giovane CT e le critiche piovono come grappoli d’uva che finiscono nel secchio nei giorni della vendemmia. Eroe fino all’altra settimana quando riuscì a battere i francesi, piccolo, sgorbio e nero dopo la sconfitta con gli spagnoli. E non potrà neppure aspirare al tradizionale risciacquo che accompagnava Calimero nell’antico carosello televisivo. A dire che ha sbagliato tutto non ci vuole molto. Basti pensare ai rigoristi scelti nella fase iniziale per pensare che non fosse in quel momento dotato di grande lucidità. Grosso che tira per primo e Del Piero che non tira affatto sono le perle di una scelta che doveva essere soprattutto psicologica. Occorre ancor meno per ripercorrere il cammino dell’Italia in questi europei, prima e dopo. Prima addirittura le critiche e le difficoltà per ottenere la qualificazione, poi una formazione iniziale completamente sballata e un susseguirsi di cambiamenti in tre partite da far invidia al miglior Mancini del campionato. Non solo, ma neppure un gol realizzato tranne quello regolare annullato a Toni. Ma è colpa di Donadoni se non ha i nervi di ghiaccio che occorrono per dirigere una nazionale o è colpa di chi l’ha scelto e ha pensato persino di relegare Gigi Riva a un ruolo diverso nella pratica da quello occupato finora che lo vedeva sempre al fianco della squadra?
Il calcio, almeno per quel che conta la panchina, è fatto soprattutto di esperienza, la stessa che aveva acquisito Enzo Bearzot in anni e anni da tecnico delle nazionali e collaboratore di Valcareggi. Tutte cosine sulle quali Donadoni non poteva contare e che spesso hanno un peso consistente se non determinante. Ma l’altra faccia di una realtà amara, mai da tragedia visto che di Europei ne abbiamo vinto appena uno, sta tutta nel parco dei giocatori utilizzati nella nostra nazionale. Sì, il gruppo c’era, forse non era granitico come quello creato da Lippi, ma a mancare è stata la sostanza nel senso che non abbiamo più fuoriclasse veri e quelli che ci sono non danno più grande affidamento perchè sono avanti con gli anni tanto da lasciare parecchi dubbi sulle loro effettive possibilità. Mentre per coloro che fuoriclasse non sono una condizione fisica ormai largamente usurata non dovrebbe consentire addirittura la partecipazione a questo tipo di tornei. Ne consegue che se dal mazzo si toglie Buffon e qualche bella rivelazione come Chiellini, destinato a stare solo nel gruppo inizialmente, resta ben poco per poter competere con avversari che si sono rinnovati nel gioco, nelle idee e nella tecnica, che noi non abbiamo più. Sì, perché noi un Torres o un Fabregas o un Villa li stiamo ancora aspettando. E’ tutto da vedere se con Lippi, sulle cui qualità ci sono pochi dubbi, il risultato sarebbe stato diverso nel senso di un altro successo come quello mondiale. Saremmo sicuramente andati avanti ancora fino alle semifinali, ma poi, diciamocelo con tutta franchezza, il cammino sarebbe stato improbo.
Adesso, infatti, se Marcello ritorna tra gli applausi di tutti, non avrà certo vita facile e non per carenza di convinzione nelle sue qualità, ma per il materiale che si ritroverà a disposizione che non era eccellente in Germania, che appare addirittura scadente in questi giorni. Dovrà ricominciare tutto da capo, salvando il salvabile della nazionale attuale e andandosi a cercare quei nuovi elementi che dovrebbero ridare nuova linfa all’azzurro che sta sbiadendo e la cui decadenza è arrivata al top proprio con gli Europei, al di là di una eliminazione ai rigori, ma onestamente meritata in campo. Lì non c’era Totti che difficilmente sarà ai prossimi mondiali, quasi a significare la fine di un’èra e l’inizio di una nuova con tutte le incognite che proprio il nuovo si trascina dietro. Sulla scia di Kakà o Ibrahimovic abbiamo pensato di avere grandi fuoriclasse anche noi, ma ci stiamo accorgendo che ce ne sono ben pochi e che vanno cercati con il lanternino, almeno se si parla di coloro che sono in grado di fare la differenza in una competizione in cui c’è stato il meglio dell’Europa. Ridimensioniamo un attimo gli entusiasmi senza pensare che un Mondiale o un Europeo si possano vincere con facilità, ma auguriamoci soprattutto che Marcello Lippi riesca a compiere un altro capolavoro contrapponendo il suo carisma a gesta eroiche che secondo logica, non si ripetono. Perché l’eroe dell’ultimo Mondiale azzurro è stato lui e solo lui, con quella sua filosofia calcistica nella quale crede da sempre, sbagliata o giusta che sia e che ha permesso a gli altri di raccogliere onori e consensi chissà fino a qual punto meritati.

Federico De Carolis
fedecarci2@hotmail.it

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