Nel fango del calcio italiano

4 Marzo 2012 di Alec Cordolcini

di Alec Cordolcini
Questa intervista a Jeannine Koevoets, ex signora Tonellotto nonché presidente della Triestina per un mese, è stata rifiutata da quattro testate italiane prima di essere pubblicata, parzialmente, da Il Giornale. Eppure non ci sembra riveli chissà quali verità nascoste, né che il suo contenuto sia particolarmente scomodo. Semplicemente, le risposte non sono una fiera delle banalità come quelle dell’intervistato medio del mondo del calcio. La riproponiamo su Indiscreto, in versione integrale.
Mevrouw Koevoets, sa che la Triestina è fallita?
Guardi, per me quello è un capitolo chiuso. Anche se dagli incubi difficilmente ci si libera. Tribunali, minacce, complotti, bugie. Questa è stata la mia esperienza nel calcio italiano.
Ma come ha fatto una diplomata all’Accademia cinematografica di Bruxelles a diventare presidente di un club di Serie B? 
Ho ricevuto la Triestina in regalo dal mio ex marito, Flaviano Tonellotto. Di solito per far colpo su una signora le si regala una Ferrari, o dei gioielli. Lui invece comperò una squadra, ovviamente contro la mia volontà.
Non le piace il calcio? 
Non l’ho mai seguito più di tanto. Qualche partita della nazionale olandese e niente di più. In Italia ero direttore di un albergo a Grado, e sognavo di poter avere un giorno un hotel tutto mio. Flaviano ogni tanto mi portava a San Siro e non era male. Ma la prima volta che misi piede al Nereo Rocco di Trieste fu uno shock. Impianto vecchio, spalti deserti, un ambiente desolante. Dissi che non avrei più voluto mettere piede in un posto simile. Per tutta risposta lui, nel giugno 2005, ha comprato la squadra. 
Tacendo di aver fatto fallire due società immobiliari negli anni Novanta. 
Falso, lo sapevano tutti. Al momento dell’acquisto lui ha comunicato di avere una causa pendente per bancarotta. Ma all’epoca è stato comodo per tutti fare finta di niente. Anche al Comune di Trieste, che in seguito lo ha denunciato per aver dichiarato il falso. 
Lei però ha assunto la carica di presidente dopo la definitiva condanna di Tonellotto. 
Sì, ma seguivo gli affari della società già prima. E posso affermare che c’è stato un complotto per sottrarci la Triestina. 
Proviamo a spiegarlo? 
Nel gennaio 2006 la COVISOC, al termine delle normali procedure di ispezione fiscali che avvenivano ogni trimestre, aveva definito la Triestina un club finanziariamente sano. Nello stesso periodo c’erano società come il Milan con debiti pari a 70 milioni di euro. Quattro settimane dopo, la Triestina viene commissariata. Succede tutto in 24 ore: ritiro immediato della licenza – valore 10 milioni di euro, e la sottoscritta si trova davanti al Tribunale Civile di Trieste con l’accusa di aver sottratto dalle casse del club 3 milioni di euro. Capisce? 10 milioni di euro svaniti in poche ore. Una decisione assolutamente illegittima, anche se il termine furto sarebbe più appropriato. Ma era già stato tutto deciso. La legge è uguale per tutti, ma in Italia forse per qualcuno è più uguale che per altri. E tengo a precisare che alla fine sono stata assolta da ogni accusa. 
Non vorrà farci credere che Tonellotto è una vittima? 
Il mio ex marito di errori ne ha commessi tanti, tantissimi. Non nego che sia una persona egocentrica e assolutamente impossibile da gestire. Ma se fosse riuscito a realizzare sono un decimo delle idee che aveva in mente per la Triestina, il club oggi sarebbe in Serie A. Purtroppo, e mi rendo conto che questo è un paradosso per un uomo d’affari, non è stato capace di costruirsi un’adeguata immagine pubblica. Anzi, ha fatto il contrario. Il calcio italiano è un mondo ipocrita, corrotto e dominato da logiche clientelari. Sa qual è stata la frase che ho sentito ripetere più spesso da quando è iniziata la mia esperienza nella Triestina? Nel calcio ci sta. Te lo ripetono tutti: politici, procuratori, imprenditori, giornalisti, sponsor, banche, tifosi. Non puoi dare dell’idiota in diretta televisiva al sindaco di Trieste. Non puoi definire i giocatori un branco di puttanieri. Flaviano non ha capito – o non ha voluto capire – che anche se sei il proprietario di un club ti devi relazionare con questo microcosmo. A ognuno spetta una fetta della torta, e guai a te se provi a cambiare qualcosa. Te la fanno pagare. 
Come? 
Il Comune boccia il tuo progetto di costruzione di un nuovo stadio. Le banche prima ti promettono garanzie finanziarie, poi quando ti servono perché un magistrato bussa alla tua porta dicono di non saperne niente. La stampa scatena una campagna mediatica contro di te. Sa che un giornalista di un quotidiano locale è arrivato a minacciarmi via sms? 
Il suo cellulare era di dominio pubblico? 
Certo, grazie al signor Tonellotto. Un giorno ebbe la brillante idea di presentarsi alla stampa e dire: per qualsiasi comunicazione, questo è il numero di mia moglie. Un giorno mi arriva un sms di questo giornalista: tu ad aprile non ci arrivi. Flaviano lo lesse e disse di non preoccuparmi. 
Di solito la stampa italiana non brilla per intraprendenza. 
Nel nostro caso, siamo stati bersaglio della stampa locale fin dal primo giorno. Un quotidiano di Trieste mi ha negato l’accesso al proprio archivio durante la mia causa. Poi però quando c’è da denunciare una partita truccata – e a quei tempi, mi creda, il materiale non mancava – tutti zitti. Non c’è modo peggiore di prendere per i fondelli i propri lettori. 
Lei è stata minacciata anche dai tifosi, vero? 
Si. Un altro grande errore di Flaviano, oltre alla totale mancanza di diplomazia, è stato quello di mettersi contro gli ultras, i veri padroni del calcio in Italia. Alcuni di loro sono arrivati a minacciare di rapire mio figlio, che all’epoca aveva sette anni. Avevo accumulato talmente tanta tensione da essere stata colta da un piccolo infarto. Dopo l’operazione, mentre trascorrevo la mia convalescenza a Grado, una sera trovai le mura del mio appartamento imbrattate con scritte oscene. Come le dicevo, un vero e proprio incubo. 
Perché non ha mai raccontato la sua storia a un giornale italiano, magari non di Trieste? 
Ci ho provato, ma alla fine non se ne è fatto niente. Conoscevo questo giornalista della Gazzetta dello Sport, mi ripeteva sempre che con me avevano giocato sporco. Però mi ha detto, molto francamente, che non avrebbe mai potuto pubblicare la mia versione dei fatti. Il motivo? Abitava a Trieste. Insomma, spreekverbod, come diciamo in Olanda. Proibito parlare. 
Salva qualcosa del progetto Tonellotto? 
L’idea dello stadio di proprietà, che come ho detto è andata a sbattere contro un muro di gomma – del resto come sorprendersi in un paese dove i sindaci si opponevano alla B di sabato pomeriggio perché, a loro dire, avrebbe causato perdite agli esercizi commerciali della città? E poi la questione degli stipendi dei calciatori. Flaviano li dimezzò drasticamente, da un giorno all’altro. Torniamo al solito discorso della mancanza di diplomazia, ma l’idea di fondo è giusta. Perché oggi quando si parla di scarsa sostenibilità del mondo del calcio, una delle prime criticità che emerge è la distribuzione dei

costi a bilancio concentrata quasi esclusivamente negli stipendi dei giocatori. 
Quando ha detto definitivamente addio all’Italia? 
Nell’agosto del 2007 Flaviano, grazie all’interessamento di un osservatore del Milan, aveva acquistato la Sanremese. Andai su tutte le furie. Ma non impari propri mai, gli dissi. Era finita. Sono tornata in Olanda con mio figlio Jacopo. Sa oggi cosa sogna? Di diventare un calciatore e di giocare accanto al suo idolo Pato. Attraverso i suoi occhi, il calcio è un mondo pulito. 
Potrà davvero tornare a esserlo? 
Mai dire mai. Anche se mi chiedo: come si possono combattere credibilmente la corruzione e tutte le storture del calcio quando è proprio il suo massimo organismo, la FIFA, il primo a non dare il buon esempio?


Intervista di Alec Cordolcini, pubblicata per sua gentile concessione (4 marzo 2012)

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