Neima Ezza e i maghrebini di piazza Selinunte

12 Aprile 2021 di Stefano Olivari

Chi ascolta Neima Ezza? Quello di Zlatan, canzone modesta ma bel video girato davanti a San Siro con maghrebini in tuta acetata Milan. La guerriglia urbana che ha visto a Milano circa 300 ragazzi di famiglia straniera, in almeno la metà dei casi nordafricana, attaccare la polizia e carabinieri intervenuti dopo essere stati chiamati da residenti (anch’essi nella quasi totalità stranieri, va ricordato anche chi siano le prime vittime: soprattutto donne), ci ha colpito più di altre situazione analoghe.

Non perché sia più importante di quanto accade nel resto del mondo, anzi è roba da cronaca locale, ma perché la situazione si è verificata in quella che è stata la nostra periferia per 40 anni. Periferia che abbiamo sempre vissuto nella posizione più scomoda, quella dei piccolo borghesi: non abbastanza poveri da essere veri duri, cazzuti e violenti, non abbastanza ricchi o coraggiosi da andarsene (se non fuori tempo massimo). In particolare da piazza Selinunte, dove il rapper aveva dato appuntamento ai suoi amici e fan, siamo passati, purtroppo a piedi tranne brevi periodi di bici (poi rubata), sei giorni su sette per cinque anni di fila per andare a scuola.

I tamarri dell’epoca, quelli che visti a 200 metri ti facevano cambiare marciapiede in automatico (poi al bar con il mojito in mano sono tutti maestri di krav maga), erano italiani ma le esperienze erano ugualmente cattive. Fatti due soldi sono giustamente scappati e così nelle case Aler della zona la sostituzione etnica è diventata realtà. Anche cambiare percorso esponeva ad insidie, perché da piazza Segesta percorrendo via Dolci in direzione Piazzale Brescia (chi nella vita precedente andava allo stadio può capire) si incrociavano i tamarri di via Abbiati e via Ricciarelli, non meno motivati di quelli di via Tracia. Per farla breve: molte botte prese, solo qualcuna restituita. E rigorosamente mai un lamento, né con gli amici (che avevano peraltro gli stessi problemi) né con i genitori che ci avrebbero compatito invece di scrivere lettere contro il bullismo.

Cosa vogliamo dire? Che la retorica della periferia disagiata può essere applicata a tutte le epoche, basti pensare all’Italia del dopoguerra. Se questi ragazzi sono in strada a fare niente indossando scarpe che costano 200 euro vuol dire che tanto male non gli sta andando: in Marocco se la passerebbero di sicuro peggio. Certo sono più poveri del coetaneo al quale rubano lo smartphone, che a sua volta è più povero di altri. Inconsapevoli portatori di voti, per motivi opposti, a destra e a sinistra. Esseri inutili come noi, ma in più anche dannosi: strumenti funzionali alla repressione, ormai socialmente accettabile (ma da quanto c’è il coprifuoco?) anche da ex libertari.

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