Musica per un incendio

15 Maggio 2014 di Paolo Morati

Musica per un incendio

Mario Castelnuovo è un cantautore, un musicista, o meglio ancora uno scrittore di canzoni. La definizione la diede lui stesso tempo fa. Recensiamo il suo nuovo lavoro Musica per un incendio, che conferma quanto di buono abbiamo ascoltato negli ultimi… 32 anni di attività discografica. Sì, proprio 32 anni e 12 album da quel Sanremo 1982 in cui, dopo l’anticipo (e che anticipo!) di Oceania, Castelnuovo tirò fuori dal mantello Sette fili di canapa che lo fece conoscere a pubblico e critica per poi rilanciare due anni dopo con la celebre Nina. Ma del suo passato scrivemmo già qualche anno fa su Indiscreto per cui non stiamo a ripeterci, concentrandoci invece sul presente, e nuovo disco, più volte annunciato e poi rimandato. Una lunga attesa ben ricompensata.

A 8 anni dall’ottimo Come erano venute buone le ciliegie nella primavera del ’42, dunque, Mario Castelnuovo se ne esce ‘zitto zitto’ con una produzione che conferma di nuovo le sue qualità. A cominciare dal lungo elenco di strumenti veri e musicisti importanti coinvolti nel progetto, distribuito da Egea Music e co-prodotto da quel Lilli Greco scomparso ormai da un anno e mezzo e personaggio decisivo della musica italiana, al quale è dedicato l’album. E il singolo di lancio che lo apre, Annie Lamour (“Ora è per sempre, per sempre è solo ora, diglielo ai devoti dell’eterno”), restituisce da subito la vena più poderosa e ritmata, nonché narratrice di racconti, di un artista a cavallo tra Lazio e Toscana, grazie a un sound fatto di suoni a volte protagonisti e a volte sottofondo alle parole importanti di storie che ci piace citare qua e là. Così come Mandami a dire (“Se l’amore cade io so che ricresce di notte, come succede ai bambini coi denti da latte”) dal cui ascolto riceviamo le stesse emozioni che all’epoca ci trasmise immediatamente, al volo, un suo vecchio brano (era Rondini nel pomeriggio), le storielle apparentemente spensierate di cui è maestro (A Certaldo fa freddo, “I poeti sono cagionevoli, fragili, vanno in giro con il culo timido, romantico”), ma anche le ballate più ariose e ricche di archi (Gli amanti, “Ognuno arreda, se può, l’infelicità”).

E questo è solo l’inizio di un album composto di dodici tracce fatte di un’alternanza continua di emozioni e libertà, dove la voce rincorre le note de Gli innamorati coi capelli bianchi (“ali di pergamena in volo”) al piccolo gioiello di Geneviève (splendido l’arrangiamento, così come l’intreccio letterario) fino a quel Canto della povera gente, attuale e privo di una retorica che spesso incontriamo invece su certi palchi urlanti. E ancora l’estrema adorazione di Fessure di cielo (“non posso poi credere che tu non sia un pensiero di Dio…”) o le rilevazioni di Gli angeli (“In tanti passano la vita ad aspettare che la vita accada”) e la filastrocca Santa Maria delle Caramelle (“Per i bambini la notte è un luogo e non è un tempo”), fino a lasciare spazio alla voce di Bianca Giovannini e a un recitato in Trasteverina (“Figlia mia se esci infilati un sorriso”) o a un divertissement come Torna a casa Lassie, piantato lì nel bel mezzo del disco.

E no, Mario Castelnuovo, non è solo uno scrittore di canzoni. È anche uno che le canta, con una voce che sa raccontare quanto scrive, capace di incendiare senza gridare, un artista importante rimasto dietro le quinte probabilmente per scelta, e che non farà mai parte del mainstream più facile fatto di immagini e calcolatori. E quel temporale che apre il disco, non è messo a caso per fare semplice rumore e tuoni, così come la confezione del CD che aprendola profuma di cartone da vinili d’epoca. Quelli che, per fortuna, sappiamo ancora di tanto in tanto mettere sul piatto e ascoltare.

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