Muhammad Alì e i simulatori

1 Maggio 2011 di Antonio Cacopardi

di Antonio Cacopardi
Josè Mourinho ha due, imperdonabili, difetti: il senso della realtà, che lo rende fortemente pragmatico; un quoziente intellettivo decisamente superiore, che, fra l‘altro, gli fa trovare insopportabili i leccaculo, i marchettari, i  tromboni e i perbenisti. Sarà, forse, per un sentimento di “reciprocità” che risulta inviso ai più…Ha anche un pessimo vizio, quello di esprimere ciò che pensa e di dire la verità. Il che, lo rende ancor più detestabile…
Non è forse pura verità ciò che ha detto al termine del “Clasico” di mercoledì scorso, ovvero che il Barcellona è stato puntualmente agevolato nelle sue vittorie da errori arbitrali che, uno dopo l’altro, hanno svantaggiato gli avversari di turno? Oppure, le nefandezze di Ovrebo a Stamford Bridge, l’ingiusta espulsione di Thiago Motta nell’epico Barcellona – Inter dell’anno scorso, la grottesca doppia ammonizione, con conseguente rosso, a Van Persie di quest’anno, e, ultima, l’espulsione di Pepe nella partita di pochi giorni fa, sono opinioni soggettive piuttosto che incontrovertibili realtà, puntualmente documentate, certificate e santificate dalle riprese filmate?
Pepe, autore di un’entrata senza senso, oltretutto in una zona del campo dove era assolutamente innecessaria ed inutile
, ha certamente commesso una imperdonabile stupidaggine. Ma andava punito dall’allenatore nello spogliatoio, con una reprimenda alla Ferguson, magari con tanto di scarpata in bocca, non certo da un cartellino rosso che è stato indotto solo ed esclusivamente dalla ignobile simulazione di Dani Alves, come ampiamente dimostrato dai filmati che, ormai, girano sui siti dei media di mezzo mondo. Escluso, ad ulteriore prova, quello del penoso “El Mundo Deportivo”, che, per decoro, farebbe meglio a chiamarsi “Visca el Barca”. Sia a termini di regolamento, sia sotto il profilo dell’opportunità, il giusto provvedimento sarebbe stato punizione per gioco pericoloso e ammonizione.
In prima fila, a scagliarsi contro l’allenatore portoghese per le sue affermazioni del dopo partita, ovviamente i più noti fra i “giornalisti” italioti.
Tutte queste prime firme levate all’agricoltura, e i loro galoppini strappati al marciapiede, hanno lanciato i rispettivi strali moralisti, come faceva no puntualmente quando il portoghese allenava in Italia. Mi chiedo perquale motivo sia così criticabile chi evidenzia oggettive e incontrovertibili verità e non si spenda una sola parola, almeno di perplessità, verso chi, invece, esprime insinuazioni non fondate su elementi altrettanto oggettivi.
Non ha forse fatto questo, Guardiola (che ormai è per tutti “il buono”, mentre Mourinho è, manco a dirlo, “il cattivo”), quando ha detto “si cree a los amigos de Don Florentino Perez y a los de la central lechera”. Il che, tradotto letteralmente, significa “se crede agli amici di Don Florentino Perez e a quelli della centrale del latte”. Deve essere stata proprio questa “central lechera” a complicare maledettamente la faccenda ai corrispondenti e agli opinionisti del Bel Paese, nessuno dei quali si è scomodato a investigare cosa c’entrasse mai questa centrale del latte. O, magari, a cercare di capire se non ci fosse, casomai, un significato recondito dietro un’espressione apparentemente insignificante.
E il significato recondito altroché se c’è: la giusta traduzione, in chiave interpretativa, infatti è “ se crede alla cricca di giornalisti al soldo di Florentino Perez”. Quindi, chi ha ricordato episodi realmente accaduti, è stato tacciato di maleducazione, antisportività e quant’altro. Chi, invece, ha pesantemente insinuato riguardo a cricche di mercenari della carta stampata a libro paga non è stato neanche sfiorato da un refolo di disapprovazione. Sarà forse stato perché, qui in Italia, di centrali del latte ce ne sono a bizzeffe e ognuno appartiene alla sua? Cosa sarebbe successo se Mourinho avesse insinuato, in forma ugualmente esplicita, riguardo ad una cricca di giornalisti al soldo, che so, di Agnelli?
Si dice che il portoghese non sappia perdere: alcuni ricorderanno che dopo un penoso Atalanta – Inter
fece vergognare i suoi nello spogliatoio. Subito dopo l’eliminazione subita dal Manchester United due anni fa, ammise candidamente la non competitività della sua squadra a tal livello. Dopo la “manita” di novembre disse “prendiamo e portiamo a casa”…
Grande squadra, il Barcellona, non c’è che dire. Probabilmente, davvero fra le più forti di tutti i tempi. Certamente, la migliore del calcio moderno. Anche sotto il profilo storico, nulla da dire: trascendendo il calcio, il club catalano ha da sempre costituito un’entità che rappresentava valori più condivisibili rispetto a quelli propri del madridismo. Ormai digerito, però, il periodo storico del franchismo, il discorso torna in un ambito calcistico e, da qualche anno a questa parte, i ruoli si stanno rapidamente invertendo. Il Real Madrid arrogante, scorretto, sleale, intimidatorio e antisportivo, quello di Pirri e Amancio, quello di Juanito e Santillana e delle pietrate ad Altobelli, quello di Hierro è ormai stato sostituito da un Barcellona che non è solo quello dell’incantevole Messi e degli eccezionali Iniesta e Xavi ma è, soprattutto, quello delle indecenti e continue simulazioni di Busquets, Piquè, Pedro, Villa e Dani Alves. Quello degli idranti aperti quando gli avversari profanano il Camp Nou gioendo per un successo. E, a completare il quadro, ha assunto un compiaciuto atteggiamento farisaico, mischiato a una buone dose di provincialismo, davvero detestabile.
Che piaccia o no, nello 0 a 2 del Bernabeu, l’ignobile simulazione di Dani Alves, preceduta da quelle, per così dire “preparatorie”, di Busquets e Pedro,
è stata più decisiva dei due splendidi lampi del fuoriclasse argentino. Nati entrambi, ma guarda un po‘, proprio dalla zona di campo che, fino al momento
della sua estromissione, il dinamicissimo Pepe aveva ottimamente custodito. La tattica è fattore fondamentale di ogni sport, a maggior ragione in quelli di squadra. Ognuno cerca l’atteggiamento migliore in relazione alle proprie prerogative e a quelle dell’avversario. Gli “opinionai”, italioti e non solo, hanno da più parti invocato una diversa condotta da parte de Real Madrid, più offensiva e disinvolta. Dimenticando, evidentemente, cosa era successo quando, appena lo scorso novembre, la squadra di Mourinho aveva approcciato quella di Guardiola in maniera più allegra….
Non considerando che la qualità migliore del Barcellona, ancor più del veloce e persistito palleggio, è la capacità di recuperare immediatamente palla in campo avversario o, tutt’al più, a ridosso della linea di centrocampo, tanti speravano in un Real Madrid più votato alla costruzione e più sbilanciato in avanti, tipo, ad esempio, quello che aveva maramaldeggiato col Valencia pochi giorni prima. I “blancos” sanno palleggiare e costruire, però contro il Valencia, l’Atletico e il Deportivo, oppure contro il Milan, che del Barcellona non hanno né il palleggio né, tantomeno, la capacità di recuperare palla. Contro i blaugrana la priorità è non perdere la sfera in uscita e mantenere costantemente la maggior densità possibile. Non subire il primo gol e poter, così, tirare la faccenda alle lunghe, in attesa dell’occasione per cercare di essere i primi a sbloccare il risultato.
Un enorme sforzo di pazienza e concentrazione, che, ad esempio, nella finale di Copa del Rey, ha dato i suoi frutti. Fino al momento dell’ingiusta espulsione, il piano, come si dice, stava proseguendo esattamente come prestabilito…Andare in svantaggio avrebbe significato, oltretutto, essere costretti ad agire
in un contesto tatticamente sfavorevole e ciò era stato sapientemente evitato. Scienziati si sono domandati perché non avessero giocato Kakà e Higuain (o Benzema) al posto, ad esempio, di Ozil e Di Maria. Ora, rimanendo da di

mostrare che, in termini di valore assoluto, gli ultimi due non siano al medesimo livello, se non superiore, ai tre compagni di squadra, resta da decidere se vogliamo parlare di calcio da bar – allora mettiamoci comodi e ordiniamo una spremuta d’arancia- oppure di calcio professionistico.
Immaginiamoci un attimo Kakà e Higuain ( o Benzema) al posto di Di Maria e Ozil: sarebbe rimasto il trivote Lass-Pepe- Xabi Alonso, Kakà largo a sinistra, Cristiano Ronaldo largo a destra e Higuain (o Benzema) riferimento avanzato. Non avendo Kakà e Cristiano attitudine fisica, mentale e calcistica adatta ad assicurare la “presenza” di Ozil e Di Maria in fase di non possesso, presto si sarebbero creati degli spazi laterali per il Barcellona, con conseguente necessità di salire a chiuderli da parte dei terzini madridisti. Il che avrebbe portato ad un allargamento della linea difensiva, con conseguente possibilità per il Barcellona di far avanzare la palla lateralmente e inserirla poi al centro per la rifinitura filtrante a favore dei tagli in controtempo degli attaccanti, o di quello a destra di Dani Alves, che costituiscono la forma più caratterizzante degli attacchi catalani. Oppure, qualora i terzini fossero rimasti a mantenere serrata e compatta la linea difensiva di quattro, le mezzali avrebbero dovuto necessariamente scivolare verso l’esterno a occupare il vuoto alle spalle di Cristiano e di Kakà, lasciando quindi spazio centrale per le veloci triangolazioni degli avanti di Guardiola o per iniziative individuali, come quella del secondo gol.
Riguardo alla, eventuale, fase offensiva, consci difensori e centrocampisti di non potersi scoprire, se non a rischio di compromettere una sufficiente “densità” difensiva, Kakà, Cristiano e Higuain (o Benzema che fosse) che mai avrebbero potuto fare in mezzo a un nugolo di maglie blaugrana? La squadra si sarebbe spaccata e non avrebbe saputo né difendere né, a maggior ragione, attaccare. Oltretutto, per caratteristiche fisiche oltre che tecniche (mentre Messi, Iniesta, Xavi e Pedro fanno tre passi loro ne fanno uno) i vari Kakà, Benzema, Higuain e Cristiano non sono adatti a combinare nello stretto, hanno bisogno di spazio per le loro progressioni e per potersi presentare in velocità davanti all’avversario. Quindi, la tattica scelta da Mourinho era l’unica attuabile in relazione all’avversario, alle proprie caratteristiche, al tipo di partita, all’esigenza di risultato e alla vitale necessità di non andare in svantaggio.
I valenti commentatori calcistici, quindi, di calcio capiscono molto meno di quanto capiscano i loro
colleghi che si occupano, ad esempio, di ciclismo. Da parte di questi, infatti, mai ho sentito da qualcuno pretendere una zampata di Pantani in volata o un forcing di Moser in salita…La loro disonestà intellettuale, poi, risalta ulteriormente quando si pensi che non è stata rivolta una sola parola di critica al signor Kakà, il quale, nei giorni immediatamente precedenti la più importante partita della stagione, ha pensato bene di fare un andata-ritorno Spagna-Brasile in quarantotto ore per recarsi a vedere la figlioletta appena nata. Quest’ultima sarebbe rimasta tale e quale anche dopo una settimana, esattamente come i sessanta e passa milioni, più altri dieci netti all’anno, spesi dal Real Madrid rispettivamente per assicurarsi e retribuire le prestazioni di quello che si pensava fosse un esemplare professionista…
Il miglior gioco è quello che conduce all’ottenimento del risultato, il resto è tutto un discorso sul cosiddetto sesso degli angeli. E poi, dov’è scritto che un’infinita ragnatela di pur rapidissimi tocchi, anche conclusa da un’improvvisa accelerazione che premia un inserimento preciso al centesimo di secondo dal quale scaturisce un gol, sia necessariamente più bella da vedere di un fulmineo contropiede, che in dieci secondi e pochi passaggi ribalta un’azione e, anch’esso, si conclude con la sfera che varca la soglia? Rivendico pari dignità per ogni scelta tattica, ricordando anche che la più bella vittoria in contropiede della storia non fu conquistata né dall’Inter di Herrera né dal Milan di Rocco. Non fu conseguita neanche su un campo di calcio, a dire il vero. Fu ottenuta su un ring, il 30 ottobre 1974, in quel di Kinshasa. Il divino Muhammad Alì si barricò alle corde, facendosi pestare per otto round da George Foreman e, al primo segno di stanchezza e minor concentrazione dell’avversario, sortì fulmineo rubandogli il tempo e lo mise al
tappeto.
Antonio Cacopardi
(in esclusiva per Indiscreto)

Share this article