Morire per Howard?

24 Gennaio 2013 di Stefano Olivari

I Los Angeles Lakers stanno distruggendo una stagione nel nome di Dwight Howard, che unito all’ideologia dantoniana ha creato una serie di effetti negativi a catena. Il principale dei quali è l’emarginazione tecnica (vederlo costretto a tirare da tre in transizione come se fosse Steve Novak ci fa male), umana e di status di Pau Gasol. Che si concluderà forse scambiandolo, per il bene suo e dei Lakers che con questo roster trarrebbero più giovamento da un Bargnani (ecco, l’abbiamo detto) guarito o dagli ultimi colpi di Nowitzki. Ma forse anche no, stando agli ultimissimi segnali. E non è nemmeno una questione di cattiva volontà dei protagonisti, come ha dimostrato anche l’onorevole sconfitta contro il miglior LeBron James di sempre per maturità e controllo. Howard è spesso il pretesto per parlare del presunto ritorno dell’importanza del centro nella NBA, di cui si sta scrivendo tantissimo ma che sinceramente non vediamo. A meno che il centro sia inteso alla Howard, alla Hibbert, alla Horford: un superatleta che tocchi poco il pallone ma faccia giocate dinamiche in situazioni sempre comunque in mano ai tre, per non dire quattro, esterni. Altri discorsi si potrebbero fare su Tyson Chandler, fenomeno difensivo e percentualista in attacco, sul classico Marc Gasol o sul post-bassista Brook Lopez, ma questo non toglie che il basket NBA sia saldamente in mano alle guardie. Situazione che c’entra solo in parte con i Lakers, che con sofferenza abbiamo appena visto perdere contro i Grizzlies: Howard zero punti e due rimbalzi in 14 minuti giocati da seminfortunato prima di infortunarsi (tutto da verificare, visto lo scazzo prepartita con Kobe), Earl Clark e lo stesso Gasol poi ad alternarsi nel ruolo senza incidere (e il catalano con il peggior plus-minus della squadra), D’Antoni disorientato e che le immagini di League Pass ci hanno restituito un po’ imbolsito. Gli scenari sono solo due: si cerca di salvare la stagione, arrivando in qualche modo ai playoff ma senza grandi chance di fare strada, oppure si pensa al futuro. Nel primo caso Howard dovrebbe essere accompagnato subito alla porta, avendo il contratto in scadenza gli amatori non mancheranno, nel secondo bisognerebbe fare piazza pulita di tutto il resto. Ma al di là del fatto che non sia scambiabile senza il suo consenso, il vero problema è Kobe ‘Non si discute, si ama’  che sembra giocare per le statistiche o, peggio ancora, per quell’hero basketball di cui veniva accusato già ai tempi dell’high school a Lower Merion. Voleva il terzo governo Phil Jackson, non l’ha avuto e forse non si è ancora rassegnato.

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