Moggi non sbaglia mai

13 Giugno 2014 di Stefano Olivari

La vita e le opere vanno sempre distinte, anche quando si parla di Luciano Moggi. Radiato dallo sport italiano e, dal punto di vista della giustizia ordinaria, condannato in appello a 2 anni e 4 mesi per Calciopoli, Moggi è sempre interessante quando scrive di calcio su Libero o ne parla con i tanti giornalisti che gli devono qualcosa. La distanza cronologica, anche se non ideologica, dai fatti che lo hanno allontanato dalla Juventus (complici i rapporti di potere interni alla famiglia Agnelli), gli ha fatto bene e per questo il suo recente Il pallone lo porto io – Calcio, trattative e spogliatoi: tutto quello che non ho mai detto (scritto con/da Andrea Ligabue, editore Mondadori) è un libro che si lascia leggere, più del precedente ‘Un calcio nel cuore” ma anche di gran parte delle biografie o autobiografie sportive. Strutturato in agili capitoletti, racconta miserie e nobiltà (secondo i parametri moggiani, chiaramente) di dirigenti, allenatori e giocatori del calcio italiano. Dopo aver superato lo scoglio della dedica degli autori al mitico Nicola Penta, uno dei più simpatici fra i nostri querelatori (non aveva gradito la definizione di ‘ex bodyguard di Eros Ramazzotti’, in quanto del cantante si riteneva ‘manager’: per noi è uguale, basta che lo sappia Eros…) e ancora probabilmente alla ricerca della madre di tutte le intercettazioni, la lettura è diventata godibile ed anche apprezzabile in quanto onestamente di parte. Dal rapporto con Maradona (negato ogni coinvolgimento nella strana fine dei suoi anni napoletani) alla firma con Moratti (davvero esistita, di pochi mesi precedente a quella di Lippi con i nerazzurri, ma saltata a causa di una brutta figura fattagli fare con Moriero), dalle telefonate di Agnelli (d’accordo che l’Avvocato non lavorava, ma dove trovava il tempo per tutte queste chiamate?) alla stima per Capello, il libro è pieno di aneddoti divertenti anche se meritevoli di verifica. Perché il punto, uscendo dal solito schemino colpevole-innocente, è che nel mondo di Moggi tutto ruota intorno a Moggi: lui ha solo intuizioni giuste e fa solo scelte oculate, mentre quasi tutti gli altri sono avidi, frettolosi, incompetenti, indecisi, eccetera. Può essere, perché per trent’anni uno dei personaggi di punta del nostro calcio è stato lui, ma non può essere ‘sempre’. Per dirne una: secondo Moggi se nel 2003 non arrivò alla Juventus un Cristiano Ronaldo di 18 anni fu solo per il rifiuto di Salas di trasferirsi allo Sporting Lisbona come parziale contropartita dell’affare. Mai fatto mobbing per costringere un calciatore ad accettare le sue scelte, mai convinto qualcuno a fingersi infortunato per risparmiare sul prezzo. Esilarante (e credibile) il racconto di come un pessimo Moratti scambiò Cannavaro con un Carini di cui conosceva le condizioni fisiche (al di là del diverso valore dei giocatori), ma ancora di più quello sull’inesistenza del conflitto di interessi: Moggi infatti sostiene che i giocatori della Juventus con procuratore suo figlio Alessandro discutevano del contratto con Giraudo e non Moggi senior. Quanta correttezza… Molto scorrevole anche la galleria su cento personaggi analizzati in breve, molto istruttiva quella in cui senza mezzi termini Moggi spiega che nel 2004 Carraro gli aveva chiesto di fare il direttore sportivo ombra della Nazionale allenata da Lippi. Incarico da Moggi accettato gratis… Poi ci si chiede come mai quella squadra fosse odiata da tanti italiani, anche da buona parte di quelli poi scesi in piazza a fare po-po-po. Conclusione: ascolteremmo per ore Moggi parlare di calcio, perché di sicuro abbiamo tanto da imparare, ma poi basta.

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