Il mio lungo viaggio, quando Piero Angela divulga sé stesso

28 Giugno 2017 di Paolo Morati

Piero Angela

Piero Angela pubblica la sua autobiografia, intitolata Il mio lungo viaggio (Mondadori), all’età giusta: 88 anni. E lo fa regalando al suo interno una serie di considerazioni multi-disciplinari, che trovano nella missione divulgativa solo uno dei temi portanti di questo riassunto di una vita. Pianista jazz, giornalista, inviato all’estero, una serie di incontri con personaggi che hanno fatto storia. La conduzione del telegiornale e quella lampadina della spiegazione chiara dei fenomeni, accesasi mentre seguiva il Progetto Apollo, e che poi ne cambierà il destino. Partendo dapprima da Dimensione Uomo, e poi proseguendo con Quark diventato il suo vero inscalfibile manifesto. Obiettivo: “Rispondere a dei perché, rendendo attraenti argomenti difficili attraverso spiegazioni semplici…”, con l’effetto secondario di far diventare definitivamente celebre l’Aria sulla quarta corda di Bach interpretata dagli Swingle Singers.

Il suo libro è però qualcosa di più del racconto, per quanto molto interessante, di una vita piena. Perché, al di là del narrare 90 anni di storie vissute (questo il sottotitolo), Piero Angela lancia diverse provocazioni e riflessioni che aprono altrettanti dibattiti. Noi proviamo a farlo partendo inevitabilmente dal calcio. Lui tifoso juventino scrive: “Devo ammettere che è facile essere tifosi della Juventus, una squadra che un anno sì e l’altro no vince il campionato. È molto più nobile essere tifosi del Torino… che fa soffrire i suoi sostenitori, e che proprio per questo richiede tanta dedizione e tanto amore”. Insomma soffre di più (ed è più nobile) uno juventino o un granata?

Piero Angela va anche nel dettaglio della società italiana, riflettendo: “Sappiamo bene che il vero problema per l’Italia non è quello dei modelli: anche con un modello svedese la situazione qui da noi non cambierebbe, perché si troverebbero cento modi per fare le stesse cose di prima”. Per poi riflettere, amaramente: “La questione vera è quella relativa alla diffusione, e alla tolleranza, di certi comportamenti, che sono la vera palla al piede del nostro paese…”. Relativamente all’Unione Europea aggiunge: “Mettere insieme in Europa paesi così diversi e distanti culturalmente e storicamente – con identità tra loro lontanissime e sviluppi estremamente diseguali, una babele di lingue, antichi odi e pregiudizi – è un’impresa senza speranza. Accontentiamoci del molto che è stato fatto…”. Piero Angela parla ovviamente anche tanto di televisione, e di informazione, dove “tutto ciò che è emotivo interessa e ha la precedenza rispetto a ciò che non lo è”.

Osservando la nostra piccolezza di esseri umani, afferma: “Lo spazio ci aiuta anche a capire quanto siamo insignificanti e quanto sia prezioso il nostro angoletto caldo”. Constatando più avanti: “Non conviene investire sul futuro, non porta voti…”. Passando alla scuola ritiene invece “che dovrebbe anche insegnare a ragionare”… per poi auspicare “lo sviluppo di una cultura che permetterà anche di essere vincenti nella competizione economica” nel nuovo ecosistema delle macchine.

In definitiva un’autobiografia che non lesina osservazioni critiche, quella di Piero Angela, dove la parte delle sue trasmissioni di successo vendute in tutto il mondo appare come quella meno sorprendente. Si racconta infatti un personaggio che va ben al di là della divulgazione, e questo libro, inevitabilmente scritto in modo molto comprensibile, ha sì il pregio di evidenziarne le esperienze e la formazione. Andando tuttavia oltre. Con tanti incontri incredibili (come quello con Robert Pesquet, l’attentatore, falso, di François Mitterrand), o curiosi come il primo con Silvio Berlusconi in una toilette… fino alla malinconica scoperta della lottizzazione delle immagini proiettate durante lo storico Intervallo. Sì, proprio quello con la musica per arpa di Pietro Domenico Paradisi. Altra epoca, altra televisione, e altro…?

Share this article